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28 settimane dopo... "voglio sparare a qualcosa"!

Written by  27 Sep 2007
Published in Cinema
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Il film “infettivo” di Fresnadillo esce domani e non fa affatto rimpiangere il primo capitolo di Danny Boyle. Teso, ritmato, ben girato e basato su una solida sceneggiatura che punta sul dramma umano di un mondo nel caos.

Dopo aver riassunto la valanga di zombi a breve in arrivo sui nostri schermi nell’articolo dell’altro ieri, mi sento un po’ come la radio dj de “I Guerrieri della Notte”! ve la ricordate? Labbroni rossi e voce di velluto, segnava i punti della battaglia delle gang come una giudice di gara a bordo campo. Beh, se è così “28 settimane Dopo” segna un punto e ora toccherà agli altri rimontare.

Juan Carlos Fresnadillo, il regista di origine spagnola, partiva da una posizione piuttosto scomoda (come i Warriors!): fare il sequel di un originale horror d’autore firmato da Trainspotting-Boyle, che sulla carta non offriva poi ‘sti succosissimi spunti per portare avanti la faccenda… Invece lui è riuscito a compiere quel che ormai si può definire il miracolo-Saw: stare all’altezza dell’originale, se non addirittura superarlo, discostandosene.

Come fa? Il regista, direi, ribalta la strategia usata nel suo ottimo “Intacto” (recuperatelo se non l’avete visto, si trova anche a noleggio): mentre lì il thriller era guidato da uno spunto fantastico (il personaggio che ruba la fortuna agli altri), qui un plot principale fantastico (civiltà inglese distrutta da misterioso virus che trasforma umani in belve cannibali) rimane in qualche modo un contesto, per quanto immaginificamente potentissimo, un efficace contesto tragico in cui va in scena il vero dramma. Che, come c’insegnano le sacre leggi della sceneggiatura, è sempre un dramma umano, anche in un horror.

Intendiamoci, le immagini della metropoli deserta da “ultimo uomo sulla terra” (dall’archetipo letterario di Matheson al protofilm in b/n di Ragona, fino agli “Occhi bianchi…” con C. Heston e su su fino a Boyle) io per primo le trovo di una forza conturbante, ma se poi il dramma è “ora come sfuggiamo agli zombi?”, il film non può che risultare un corri-corri-spara-spara tutto azione e poco cervello.

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Ma Fresnadillo ha un occhio europeo, non ancora drogato dai miliardi delle major, e ci stiletta al cuore con un letale “perché papà è scappato, lasciando sola la mamma coi mostri?”. E qui, capite, c’è ciccia per fare un vero FILM. E infatti il film c’è, eccome: sì, c’è qualche dialogo un po’ americano (“non aver paura, è tutto ok, ce la faremo”) e qualche assurdità (la velocità di manifestazione del contagio, i vetri dell’auto che resistono all’attacco brutale degli infetti…), ma quale film di questo genere è tutto perfettamente logico e credibile? Il punto che ci fa partecipare intensamente anche alla situazione più assurda è che il regista ci mette di fronte una buona volta ad un personaggio normale, benché immerso in una situazione assurda. Non un EROE: Robert Carlisle, attaccato dagli infetti sanguinari, non ha la soluzione pronta, non sa come difendere la moglie, sente che non c’è più niente da fare e scappa. Scappa ingloriosamente, da vile, come farebbe in quella situazione ciascuno di noi. Ecco perché partecipiamo, perché in quel momento ognuno di noi sta fuggendo sulle gambe di Carlisle. E ognuno avrebbe la stessa espressione basita nello spiegare cos’è accaduto a dei figli increduli che papà abbia potuto lasciare la mamma viva in balìa dei mostri. Ed è già uno a zero per il regista.

Poi, Fresnadillo dev’essersi guardato molti telegiornali l’anno scorso. E ha pensato che per farci drizzare i peli, non occorreva andare molto lontano: anzi, restando vicino alla cronaca, coi ragazzoni marines volonterosamente prestati a riportare l’ordine nella Gran Bretagna percossa e attonita, ci fa rivedere in un colpo tutte le molte sciagure mondiali degli ultimi tempi (tsunami, mucche pazze, polli infetti etc.), insinuandoci il dubbio – se già non l’avessimo – che basta spingere giusto un pochino più in alto il cursore della sfiga, che il nostro inossidabile sistema di vita “normale” si sgretola come sabbia e noi ritorniamo in un soffio all’età della pietra. Ma non solo all’ora di cena, perché non abbiamo l’acqua calda: è in noi stessi che risorge il cavernicolo schiacciando il civilizzato, torniamo egoisti, spietati, mors tua vita mea… tutte le brutte cose che in genere pensavamo d’esserci lasciati alle spalle.

Non pago, lo spagnolo, non essendo americano (appunto), ci mostra un’altra sgradevole realtà di queste situazioni: che gli eserciti di occupazione difficilmente “mettono ordine” in una situazione disperata. Pensate a quel che volete (come? Vi viene in mente l’Iraq? Maddài…!), ma anche qui i marines impostano sì un certo ordine e cercano di aiutare il ripristino della normalità ma, quando s’accorgono che il contagio è ripartito e la situazione sfugge loro di mano… passano alla distruzione di massa! “Voglio sparare a qualcosa”, dice un marine all’inizio, preannunciando l’incombente svolta bellicosa.

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Col risultato che i personaggi principali, il drappello in fuga, sprofondano nel caos totale, dovendosi difendere contemporaneamente dagli infetti e dai “disinfestatori”. Un tratto che, se vogliamo storicizzare, avvicina il film al capitolo “Day of the Dead” della saga di Romero, in cui appunto i militari avevano un massiccio (e negativo) ruolo nella trama.

Il tutto questo ci viene servito con eccellenti riprese “a mano” da mal di testa, granulose mescolanze di pellicola e video digitale, movimenti repentini in cui noi – esattamente come se fossimo “dentro l’azione” – non capiamo più un tubo di quel che accade; in cui, se siamo al buio, veramente non si vede niente, solo chi ha il mirino ad infrarossi vede, gli altri deambulano come ciechi urlando di panico (voi direte che s’era già visto nel “Silenzio degli Innocenti”, ma la sequenza nel tunnel è notevole). Drammatiche anche le musiche di John Murphy, che spaziano da un trip hop-subwoof alla Massive Attack ad un tema epico tragico, tra Radiohead e Muse. Notevole, senza scomodare pop star di grido.

Fresnadillo segna quindi il primo punto nello zombi-match e per ora si pone come benchmark da battere. A proposito: per i filologi del genere, la parola zombi nel film non viene mai usata, si parla appunto d’infetti. A differenza degli zombi di Romero, oltre alla velocità questi contagiati hanno una maggiore “umanità”: non sono morti risorti, quindi possono essere uccisi con comuni fucilate e chi muore non si rialza aumentando il numero dei mostri in circolazione.

Che dire? Se anche gli zombi del connazionale Balaguerò e la relativa videocamera nel preannunciato “Rec” saranno guizzanti come si dice, si preannuncia una corrida impegnativa: Fresnadillo ha girato di certo con un signor budget (potenza del successo alle spalle), ma con l’affilatezza e il coraggio di un cineasta indipendente: le sue immagini non sono mai scontate né inutilmente effettistiche.

Intanto domani tocca a Rodriguez con “Planet Terror”: in bocca al mostro!

Mario

Last modified on Friday, 28 September 2007 17:07
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