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Venere in Pelliccia - fiele fine a se stesso?

Written by  17 Nov 2013
Published in Cinema
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Il nuovo film di Polanski da Masoch è una sofisticata sciarada (meta)teatrale che celebra il trionfo del femminile sul maschile, ma senza dire granché di nuovo rispetto allo storico Luna di Fiele.

 


"Severin, Severin, speak so slightly
Severin, down on your bended knee
Taste the whip, in love not given lightly
Taste the whip, now bleed for me"

(Lou Reed, Venus In Furs)


Breve pistolotto a monte: Roman Polanski è uno di quei registi che faccio fatica a definire. Voglio dire, ci sono registi di cui trovo facile individuare lo “stile”, l’impronta personale, la filosofia: fra questi metto i Cronenberg, Carpenter, Lynch, Tim Burton, ma anche un Abel Ferrara, che pure ha spaziato fra diversi generi, oppure von Trier.
Poi ci sono quelli come Scorsese, che ti passa da un Taxi Driver a L’Età dell’Innocenza, da L’Ultima Tentazione di Cristo a Shutter Island o Hugo Cabret. O Coppola, che spazia da Apocalypse Now alla trilogia del Padrino, fino a Un’Altra Giovinezza o Twixt. E qui sinceramente invidio quei critici che sanno sempre astrarre da soggetti e forme così eterogenei la griffe dell’autore, la coerenza linguistica, il sottotesto politico e così via.

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Uno di questi registi imprendibili per me è appunto il Polanski: che dire di uno che ti inanella Repulsion, Rosemary’s Baby, L’Inquilino del Terzo Piano, poi guascone buffonate Come Per Favore Non Mordermi Sul Collo, Pirati e mettiamoci pure Frantic, melodrammi storici mainstream anche riusciti come Oliver Twist e Il Pianista, accanto a taglienti affondi nella degradazione della politica (L’Uomo nell’Ombra), nelle relazioni umane (Carnage) e nelle passioni (Luna di Fiele, foto a destra)?

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Fine del pistolotto, eccoci al film in questione: sicuramente, il suo nuovo Venere in Pelliccia (locandina in apertura, qui accanto un'immagine dal set) è proprio al magistrale duetto di spietati giochi di potere all’interno della coppia fra la Seigner e Peter Coyote del 1992 che può essere apparentato più da vicino.

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Per inquadrare la faccenda, quello di Polanski è il terzo film a tradurre in pellicola l’odissea di passione e sottomissione di Severin a Wanda, dopo l'omonimo Venere in Pelliccia di Massimo Dallamano del ’69 con Laura Antonelli (tribolato da grane censorie e uscito solo nel ’75, pasticciato come Le Malizie di Venere, di cui vedete a destra la copertina del dvd integrale CineKult) e il Venus in Furs di Victor Nieuwenhuijs e Maartje Seyferth (’95) – raggelato in un b/n alla Helmut Newton – foto a sinistra – prossimo alla video art, griffe della coppia olandese). Agli effetti del nostro discorso il Venus in Furs di Jess Franco non conta, essendo solo un titolo alternativo di Paroxismus, che nulla centra colla vicenda di Sacher Masoch.

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Bene, a valle di questi precedenti, cosa fa il regista polacco per rinfrescare il classicone? Lo inscrive nella cornice – peraltro non nuovissima – dello spettacolo nello spettacolo: come saprete già, un regista (Mathieu Amalric) sta allestendo un Venere in Pelliccia teatrale: Emmanuelle Seigner si presenta al casting per il ruolo di Wanda, si chiama pure Wanda nel film, oltre ad essere – non bastasse – moglie del regista Polanski (vedete i tre insieme sul set nella foto a destra).

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Fuori dalla finzione, certo, però dentro per interpretare il regista è stato scelto un attore che è un Polanski più giovane sputato. Quindi i parallelismi non possono essere casuali.

La sciarada del gatto e del topo si rifrange in plurimi livelli metatestuali: la sceneggiatura del film deriva dalla drammaturgia teatrale di David Ives (cosceneggiiatore del film con Polanski), a sua volta tratta dal romanzo di Masoch. In essa, attrice e regista si trovano a reinterpretare nel teatrino semismontato i ruoli di dominatrice e schiavo, sia nella finzione scenica che stanno provando, sia nella relazione che si sviluppa fra di loro: il regista mal tollera la sguaiata attricetta ignorante; poi scopre che è una Wanda perfetta, anche se sembra non capire il senso del personaggio.

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Finirà – come da copione (vedi foto a sinistra) – totalmente succube di un’astuta manipolatrice, tutt’altro che grezza e burina. Il tutto, si diceva, alludendo implicitamente al rapporto di coppia reale Seigner-Polanski che sta fuori della cornice del film, della pièce e del romanzo a monte di tutto.

C’è di che mandare in solluchero il critico cinematografico della stampa nazionale, che infatti assegna al film del Roman voti mediamente altissimi: per esempio, Escobar sull’Espresso gli ha dato il massimo, MyMovies sgrana 3,81 stellette su una media di 5 recensioni.
Senza che però ciò tolga del tutto a noi la sensazione che il gioco di società sia sì psicologicamente fine, perfettamente ritmato, nei dialoghi e nei tempi (a dispetto dell’impianto teatrale a due soli volti), spesso divertente e recitato da dio (la Seigner sbanca), ma anche un poco fine a se stesso.

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Soprattutto per una scelta di lasciare nel mistero il personaggio di Wanda che non mi resta del tutto chiara. Del regista Thomas-Severin scopriamo qualcosa, e proprio attraverso di lei: lui ha una fidanzata, un ménage “normale”, che l’insinuante dominatrix gli getta in crisi in un attimo. Ma lei? Da dove sbuca questa moderna baccante, che chiude il duello con una citazione proprio dalla tragedia di Euripide? Cosa la anima? Non sembra certo la brama di possesso erotico (irride il maschio ma non ne trae piacere), né l’ambizione attoriale (il film ci nega l’eventuale successo della pièce).

La spiegazione più logica parrebbe appunto quella della celebrazione di un trionfo dell’eterno femminino sull’opposto principio maschile, cui appunto sembra fare inevitabilmente riferimento la citazione dalle Baccanti, se è vera l'(assai plausibile)ipotesi del filosofo Alberto G. Biuso (QUI la sua illuminante recensione) secondo cui la citazione in greco pronunciata dalla Seigner-Wanda provenga dai versi 976-1023 della tragedia: "Andate veloci, cagne di Lissa, andate al monte, cagne del Furore, là dove le figlie di Cadmo tengono il loro tiaso. Aizzatele infuriate contro il pazzo infuriato, spia delle Menadi travestito da donna.
...Vieni, o Bacco, e con volto ridente / stendi la tua rete di morte / intorno al cacciatore di Baccanti, preda, ormai, del branco delle Menadi"
(*).

Certo che questo finale ellittico mi è parso comunque il punto più debole della pur sofisticata architettura polanskiana: che non mi sembra comunque aggiungere molto a quanto già scavato nei giochi di potere all’interno della coppia nel sopra citato Luna di Fiele (ben esemplificati dalla foto qui a sinistra)

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Rimane appunto un sofisticato e piacevole e divertito gioco “da salotto” su femmine contro maschi (privo della bencheminima scena erotica, nel caso qualcuno sperasse), che vellica l’intelletto con maliziosa ironia e gusto del ribaltamento delle sorti.


Mario G

 

(*) Di seguito riportiamo il citato passo di Euripide, completo in italiano:

"Andate veloci, cagne di Lissa,
andate al monte, cagne del Furore,
là dove le figlie di Cadmo tengono il loro tiaso.
Aizzatele infuriate contro il pazzo infuriato,
spia delle Menadi travestito da donna.
Là, per prima, lo vedrà in agguato
sua madre dall’alto di una roccia,
sulla cima di un albero e griderà alle Menadi:
“Chi è quest’uomo, venuto qua al monte,
o Baccanti? È venuto a cercare
le figlie di Cadmo che corrono sul monte?
E chi lo partorì? Lui non nacque
da sangue di donna:
è razza di leonessa
o di Gorgone di Libia”.
Verrà giustizia luminosa, armata di spada verrà,
colpirà a morte, trapasserà alla gola
quell’uomo senza dio, senza legge e giustizia
figlio di Echìone, razza della terra.

Con ingiusto pensiero, con empio furore
va contro i tuoi riti, o Bacco, i riti di tua madre.
Pazzo il suo cuore, volontà in delirio:
vuole, con la violenza,
vincere l’invincibile.
Morte implacabile
frena chi leva
la mente contro il dio.
Vita senza dolore
è stare nei limiti dell’umano.
Io non invidio la sapienza,
mia gioia è cacciare altri beni,
quelli che sono grandi e luminosi,
quelli che sono rivolti alla bellezza:
vivere, giorno e notte nella fede,
rifiutare ogni norma che va contro giustizia,
onorare gli dèi.
Verrà giustizia luminosa, armata di spada verrà,
colpirà a morte, trapasserà alla gola
quell’uomo senza dio, senza legge e giustizia
figlio di Echìone, razza della terra.

E tu, mòstrati nella forma del toro
o del serpente dalle molte teste
o del leone che spira fiamme.
Vieni, o Bacco, e con volto ridente
stendi la tua rete di morte
intorno al cacciatore di Baccanti,
preda, ormai, del branco delle Menadi".

(un ringraziamento ad Alberto Giovanni Biuso, docente di Filosofia della Mente all'Università di Catania, per averci aiutato a colmare questa lacuna sul finale del raffinato film di Polanski)

Last modified on Sunday, 08 December 2013 15:46
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