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Il Museo - parte 1

Written by  12 Jul 2012
Published in Progetti
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Tra il dramma della consapevolezza dell'artificalità di Blade Runner e l'ironia dell'Abatantuono di Nirvana, il racconto per l'estate di Michele D'Angelo (parte prima di due).

 


 

Caio Giulio Cesare sedeva sullo scranno in plastica appositamente creato per lui. Avvolto nella tunica da imperatore e assorto nella contemplazione della finestra in plexteel davanti a lui, non dimostrava più di cinquant'anni, sebbene la fronte corrucciata e la leggera calvizie suggerissero un età più avanzata.
 Alfiere in F8 – dichiarò infine, con voce grave.
La stanza tutt'attorno era ampia, ma non aveva nulla della bellezza e dei fasti dell'architettura romana. Era un ambiente piuttosto spoglio, asettico, una mera rappresentazione fisica dell'idea di spazio delimitato.
Solo una parete era trasparente. E parallelamente ad essa, all'esterno della stanza, si dipanava un lungo corridoio scuro, illuminato dai raggi della luna appena sorta.
Ad eccezione delle loro voci e di un basso e aritmico picchiettio di sottofondo, la sala era immersa in un silenzio sepolcrale.
 Cavallo in F5 – rispose un uomo poco distante, dopo un lungo momento di meditazione.
Cesare sollevò un sopracciglio e occhieggiò in direzione dell'oscurità, scorgendo la sagoma del Gran Khan, che sedeva su un ammasso di rottami vicino alla parete ovest della sala. Gengis Khan fisicamente sembrava un giovanotto, ma Cesare sapeva che si trattava solo di apparenza. Per loro concetti come l'età o l'invecchiamento non avevano alcun significato.
 Il nostro amico Temujin è un ottimo giocatore, non credete anche voi, regina? – disse Cesare, voltandosi verso un altro scranno ingioiellato accanto al suo.
La donna, una matriarca avanti negli anni, vestita in modo sontuoso ma con stoffe scure e lugubri, si limitò ad annuire solennemente. Poi sollevò lo sguardo affilato per fissare un punto nel cielo, oltre le finestre del corridoio.
Ciò che rimaneva della luna emanava il proprio bagliore argenteo, avvolto nelle polveri del proprio nucleo frantumato.
 Troviamo la cosa più che mai logica, in verità. Ma temiamo che gli scacchi non siano di nostro interesse. Questa notte ci rattrista, augusto Cesare. – sussurrò con voce roca – La luna non è più quella che ricordavamo. E in verità nulla lo è più.
 Indulgere nella malinconia può essere dolce, a volte – commentò Cesare, alzandosi regalmente in piedi – ma nella nostra situazione non può portare a nulla, regina Vittoria. – sospirò, poi rimase un secondo in attesa, come se stesse riflettendo, e aggiunse – Alfiere in F5. Il mio alfiere ha mangiato il vostro cavallo, grande Khan.
 Ironico – commentò il condottiero mongolo con un sogghigno – considerando che la cavalleria è sempre stata il mio forte...
Il costante picchiettio si fece più intenso e più veloce. Cesare volse il capo verso la parete sud e si accigliò. Decine di metri di formule matematiche scritte con un carboncino coprivano quasi completamente l'asettica superficie. Nell'angolo in basso a sinistra un omino con un maglione grigio e un'esplosione di capelli bianchi sulla testa si era ridotto a scrivere le sue cifre e le sue frazioni in un quadratino di spazio microscopico.
 Professor Einstein, ancora con quelle vostre equazioni? – domandò Cesare, avvicinandosi alla parete.
 Sto cercando di comprendere i principi del viaggio interstellare, Caio Giulio. – disse l'omino, senza smettere di picchiettare sulla parete con il carboncino. Una dopo l'altra, cifre e lettere andarono a formarsi in una consecutio che solo il più grande fisico di tutti i tempi poteva comprendere. – Ci sono quasi, sento che la soluzione è vicina! Vicinissima!
 Cercare di comprenderlo ora è inutile come cercare di montare le ruote al carro dopo esserci saliti sopra. – sogghignò Temujin – Pedone in F5. Addio al vostro alfiere, augusto imperatore.
Cesare chiuse gli occhi.
 Certo, dal punto di vista della nostra situazione i miei calcoli non servono a molto, devo ammetterlo. – spiegò Einstein, continuando a scrivere – Ma non riesco a non pensare alle implicazioni del viaggio spaziale sulla mia teoria della relatività. Io sono certo che nulla, a parte i fotoni, possa viaggiare ad una velocità superiore a quella della luce. La massa dell'oggetto in questione tenderebbe all'infinito man mano che ci si avvicina al fatidico limite di 300.000 chilometri al secondo. Dunque il metodo che hanno usato è diverso. Ma qual è? Curvatura del tessuto spazio–temporale? Meccanica dei quanti? Qualcosa che ancora mi sfugge?
 Che importa? – insistette il Khan, irritato – Inutili sollazzi mentali, dico io.
 Un inutile sollazzo, forse – ammise il fisico, senza scomporsi – ma non diverso dalle vostre partite a scacchi, grande Khan.
Quello si oscurò in volto, poi si alzò e diede un calcio ad uno dei rottami metallici su cui era seduto.
 Diamine, siete coraggioso a parlarmi in questo modo, piccolo uomo. Ho ucciso per molto meno, durante la mia lunga vita.
La regina Vittoria sbuffò e gli scoccò un'occhiata feroce. – Durante la vostra lunga vita? – la sua voce quasi tremava per la rabbia – Di quale vita state parlando? Perché continuate a prendervi gioco di voi stesso ignorando le grida atterrite della realtà che ci circonda? – sollevò un braccio e puntò il dito contro un punto della parete più lontana, perduto nell'oscurità. Cesare non si voltò a guardare, non ce n'era bisogno. Gengis Khan si si rabbuiò e persino Einstein smise di scrivere, pur senza staccare gli occhi dal muro.
 Lui non mente. Lui non inganna sé stesso come facciamo noi! L'ha sempre detto, noi siamo replicanti! Noi non abbiamo nessuna vita, non siamo che mere rappresentazioni. Non abbiamo alcun diritto di riferirci a noi stessi come a esseri umani!
Cesare si volse verso l'oscurità e individuò immediatamente la sagoma immobile dello spadaccino giapponese seduto alla maniera tradizionale, ritto come un fuso e con l'unica mano che gli rimaneva posata sull'elsa della katana. La manica destra dell'abito da samurai pendeva floscia e da essa fuoriuscivano cavi di duranium e nervi in fibra ottica tranciati dalla violenza dell'esplosione di una testata.
 E' davvero così che la pensate, Miyamoto Musashi? – domandò l'imperatore romano – Non siamo altro che inutili replicanti senza alcuna vita?
Il guerriero non aprì gli occhi, ma si limitò a espirare profondamente. Non ne aveva bisogno, ma trovava che i suoi processi neurali fossero più accurati, durante una lenta e profonda respirazione.
 Credo che la regina abbia travisato un po' le mie parole, grande Cesare. Siamo replicanti? – domandò nuovamente con voce profonda – Sì. Siamo senza vita? Non ne sono certo. Ciò che so è che la prolungata sconnessione dalla rete Tetranet ci ha spinti verso un nuovo gradino della nostra evoluzione. Scollegati da tutto fuorché da noi stessi siamo stati obbligati a fare una cosa che non eravamo abituati a fare. Riflettere.
 E l'atto di riflettere è davvero così positivo? Ci rende più umani? – domandò Cesare, inclinando la testa di lato. – E anche se fosse, interesserà mai a qualcuno? Siamo reliquie di una reliquia, ormai. Nient'altro che un misterioso divertimento per le orride famiglie che ogni giorno ci scrutano da quel vetro. Non ci capiscono, ma ci tengono qui come fantasmi di un epoca dimenticata e che non rimpiangeranno mai. Se prenderemo coscienza, il nostro destino sarà quello di impazzire qui dentro.
Musashi rimase in silenzio a lungo, poi, quasi non avesse udito le argomentazioni di Cesare, aprì gli occhi e lo fissò.
 Cosa distingue un essere inanimato, come l'androide, da uno animato, come l'uomo?
Cesare sospirò, poi scosse il capo. – Questo tipo di filosofia è stata ripresa più e più volte, nel corso dei secoli passati. Non posso più accedere in remoto al Tetranet, perciò risponderò per logica: la coscienza di sé. Pedone in F6.
 Non un corpo organico? Che può vivere e morire? – domandò Musashi, seguendo il flusso del proprio ragionamento.
 Un corpo organico non è dissimile da un corpo artificiale. – osservò distrattamente Einstein, continuando a scrivere come un ossesso – In fondo l'uomo non è che un robot costruito con tessuto muscolare, sangue e ossa. Anche cambiando i materiali non è quello a fare di un uomo quello che è. Inoltre noi replicanti non siamo immortali. Tutto nell'universo si deteriora con il tempo. Persino l'universo stesso.
 Il corpo non fa di un uomo un uomo. – ripeté Musashi, annuendo – E la capacità di interagire con gli oggetti che lo circondano?
 Interagire non è certo segno di vita. – sbottò Temujin, indicando un piccolo robottino simile ad un disco che stava silenziosamente transitando nel corridoio oltre il vetro di plexteel – Anche i robot di servizio sono in grado di interagire con l'ambiente esterno, ma questo non li rende neppure lontanamente paragonabili a un essere vivente. Alfiere in D6.
 Dove volete arrivare, Musashi? – domandò Cesare, grattandosi distrattamente il mento. Non sentiva prurito, ma un difetto nei processi neurali lo aveva spinto a farlo.
 Voglio arrivare a noi. – disse lo spadaccino – A noi e alla nostra situazione. Dobbiamo capire se siamo vivi o no, e a quel punto decidere se vogliamo comportarci da automi privi di coscienza per il resto del nostro periodo di attività o agire finalmente da esseri umani.
 Ma noi non siamo umani! – urlò la regina Vittoria, mettendosi le mani nei capelli e sgranando gli occhi. Cesare la guardò con preoccupazione. Secondo i suoi calcoli la regina non si era ripresa completamente dal contraccolpo subito dopo il crollo dell'ala vittoriana. I suoi gruppi neuronali sembravano funzionare male e la disconnessione dal Tetranet, unita all'ormai totale assenza di manutenzione, la stavano portando sull'orlo del tracollo. – Non lo siamo! – continuò la regina, disperata – Non dobbiamo fare altro che sorridere ai visitatori e continuare ad essere ciò che siamo. Bambole! Bambole molto sofisticate! Nient'altro che bambole senza cervello! – si strinse la testa, come se provasse dolore. Cesare sapeva che non ne provava. Non fisicamente, almeno. Eppure ciò che si stava verificando all'interno delle loro menti artificiali era qualcosa di mai avvenuto prima. Frammenti di informazioni, errori nella programmazione, ricordi artefatti e forme primitive di emozioni digitali si stavano agglomerando per formare un nucleo embrionale di coscienza. Forse Musashi lo aveva capito già da tempo. Ma ciò che preoccupava Cesare era altro. Tutto stava avvenendo troppo velocemente e c'era il rischio di impazzire, com'era successo alla povera Cleopatra, che ora fungeva da scranno per il Gran Khan dei mongoli.
 Regina Vittoria, cercate di darvi un contegno, per favore. – disse l'imperatore dei romani, meditabondo – Simili scoppi d'isteria non si addicono ad una sovrana della vostra grandezza.
 Noi non siamo una sovrana, siamo una bambola! Una bambola! – sibilò lei, ostinata come una bambina, contraendo disordinatamente i muscoli del volto. Cesare riconobbe immediatamente quei sintomi e capì che non le rimaneva molto tempo, gli spasmi involontari erano un chiaro segnale di interferenze nell'attività elettrica dei neurotrasmettitori. – Noi non vogliamo questi ricordi! Non vogliamo che... noi... io... oh, marito mio! Dove sei? Perché sei morto? Perché? Perché mi hai abbandonata in questo mondo così spaventoso?
Miyamoto Musashi si alzò silenziosamente e si mosse verso la parete di vetro. Scrutò la luna spezzata per un lungo istante e poi si volse verso gli altri.
 Quando la rete Tetranet è stata distrutta, il contraccolpo ha disseminato frammenti d'informazioni nei nostri singoli database. Tra le altre cose a me è capitata la versione digitale di un classico della neo–psicologia di Venkman, uno scienziato della fine del ventunesimo secolo. Il suo studio più famoso riguarda la fenomenologia dei ricordi virtuali impiantati nei pazienti soggetti a traumi. Credo sia stato quello a illuminare la mia via. Grazie a quello ho finalmente compreso.
 Di che vai blaterando, spadaccino? Che c'entra la neo–psicologia del ventunesimo secolo, adesso? – borbottò Temujin, grattandosi la nuca. Anche quel gesto non aveva alcun significato. Il Khan non avvertiva prurito, ma per qualche motivo il suo braccio si era mosso autonomamente, senza attenzione cosciente.
 Lasciamo che ce lo spieghi, grande Khan. – intercesse Cesare, sollevando una mano – Forse capiremo meglio cosa sta cercando di dire. In ogni caso non è che ci sia poi molto altro da fare, qui. Ah, e... mmm... alfiere in D6. Un altro pezzo in meno sulla nostra scacchiera, amico mio.
 Mpf. Sì, era l'azione più logica. – commentò Temujin, vagamente imbronciato.
Musashi scorse i volti dei compagni uno per uno: il severo Cesare, lo stralunato Einstein, il focoso Temujin e la disperata Regina Vittoria. Tutti lo osservavano in silenzio, di sottecchi, curiosi di conoscere e tuttavia terrorizzati dalle implicazioni derivanti dalla conoscenza. Sì, terrorizzati. Come solo delle entità che non hanno mai provato emozioni possono essere.
 In uno dei suoi passaggi, il libro di Venkman sosteneva che non vi è differenza alcuna, nella percezione dell'individuo, tra i ricordi effettivi e ciò che si immagina e che è, per sua stessa natura, artefatto. Immaginare una situazione di pericolo o ricordarne una effettivamente vissuta porta l'organismo umano alle medesime reazioni. Paura, battito accelerato, lo stomaco che si chiude, l'adrenalina che entra in circolo... noi possediamo ricordi che ci sono stati impiantati all'atto della costruzione, o della creazione, se preferite. Sono memorie basate su testimonianze storiche, ricostruzioni e fantasia, e ciò nondimeno dal nostro punto di vista sono così reali che se non sapessimo di essere androidi probabilmente crederemmo di essere uomini. Riuscite a seguirmi?
Cesare annuì, grave. – State sostenendo che, sebbene le nostre vite passate siano oggettivamente false, dal nostro punto di vista sono realtà. Ciò che non capisco è come potremmo dimenticare senza batter ciglio che ciò che ricordiamo non è stato vissuto da noi e che, in taluni casi, non si tratta neppure di fatti realmente avvenuti. La conoscenza storica dell'uomo era piuttosto limitata quando ci hanno programmati. Io so di non essere il vero Cesare. E sebbene ricordi perfettamente ogni istante sul campo di battaglia, so perfettamente di non essere stato io a conquistare la Gallia. Il vero Cesare è morto e sepolto chissà dove.
 Ma è così importante per voi sapere che non siete il vero Cesare? – obiettò Musashi, calmo – Cosa cercate, esattamente, un'identità di seconda mano o una coscienza individuale? Possediamo ricordi differenti da quelli dei soggetti che impersoniamo. Io so cos'è un acceleratore particellare di classe 5, per esempio, cosa che il vero Miyamoto Musashi ignorava. Io ho conosciuto voi, ho vissuto un'altra epoca. Sono diverso dall'antico spadaccino come può esserlo un nipote dal nonno. Condivido alcuni dei suoi ricordi, ma non quelli autentici. Sono ricostruzioni. Impressioni tramandate. I veri ricordi di Musashi, le sue esperienze, le sue gioie e i suoi dolori, le persone che ha conosciuto e le cose che ha detto o udito, tutto è sparito con lui e nessuno potrà mai conoscere i suoi segreti più reconditi. Questo non fa di noi persone completamente diverse? Nuove? – sorrise – Non abbiamo neppure il loro vero aspetto, ma soltanto una ricostruzione fisica sommaria, derivante da fotografie, dipinti, statue o dicerie. Non ne convenite?
Einstein smise di scrivere per un attimo e si voltò, interessato. – Le sue argomentazioni mi sembrano corrette fin'ora, Miyamoto–san. – commentò il fisico – Ma ho qui un altro quesito per lei: le emozioni. Non sono i sentimenti e l'emotività il motore stesso delle relazioni umane? Io posso ragionare, calcolare, forse persino speculare. Ma non provo niente. Non provo affetto, non provo odio, non provo rabbia né tristezza. Che genere di essere umano sarei?
Lo spadaccino scambiò un'occhiata con Cesare e Temujin. Entrambi sembravano estremamente interessati a quella che sarebbe stata la risposta. Perché Musashi ce l'aveva, una risposta. In effetti la questione emozionale era stata la sua prima preoccupazione, sebbene per un samurai i sentimenti siano più d'intralcio che d'aiuto.
 Professore. – disse infine – Voi dite di poter ragionare, calcolare e speculare.
 Ebbene sì, l'ho detto. – confermò l'omino.
 Bene. Potete anche simulare?
 Simulare?
Musashi annuì. – Esatto. Simulare un'emozione o un sentimento.
 Ovviamente potrei. – disse Einstein, con lo sguardo perso nel vuoto – Ma non sarebbe la stessa cosa. Simulare non è sentire. E se simulassi i sentimenti sarebbe solo una menzogna, una parvenza di vita.
 E se vi dicessi che anche per gli umani una larga sfera di sentimenti ed emozioni è praticamente simulata?
 Questo è possibile. – intervenne Cesare, incrociando le braccia sul petto – Gli umani fingevano continuamente. Ma in ogni caso solo una piccola parte dei sentimenti può essere simulata.
 E poi molte emozioni sono dettate dalla chimica dell'organismo vivente. – aggiunse Einstein.
 E quindi indotte da sostanze chimiche. – puntualizzò lo spadaccino – L'uomo non prova sentimenti per via della propria sensibilità o del fatto di essere vivo. E' solo la risposta ormonale e ghiandolare del corpo agli stimoli del cervello. In pratica un meccanismo.
Gli altri tacquero.
 Se noi potessimo sintetizzare programmi emozionali specifici e lasciarli attivi in background nelle nostre reti neurali, essi si attiverebbero in risposta a determinate situazioni, in base agli stimoli che riceviamo. Non sarebbe come possedere ormoni, endorfine e tutta la pletora di sostanze chimiche che regolano i sentimenti e le emozioni?
 No. – disse Temujin, scuotendo il capo – Mi rifiuto di credere che gli esseri umani differiscano da noi solo per una manciata di molecole chimiche nel loro sangue. Io ho visto quelli che loro chiamano “sentimenti”. Un padre che si lancia sotto un veicolo per salvare il figlio che stava per essere investito non può essere spinto semplicemente dalla chimica. Il suo spirito di autoconservazione glielo dovrebbe impedire.
Musashi annuì, intrigato da quell'obiezione. – In parte anche quel comportamento è dovuto ad un particolare miscuglio di sostanze chimiche nel sangue, ma indubbiamente il genere di affetto che lega un padre ad un figlio è di tipo più complesso. Ricordi, istinto di protezione, istinto di paternità, bisogno di perpetuare sé stessi... è indubbio che le emozioni saranno la nostra sfida più grande in quanto nuovi esseri viventi, ma sono certo che con il tempo sapremo evolverci in tal senso.
 Evolverci? Noi? – fece Cesare, accigliandosi – Credete davvero che potremo farlo? Il concetto stesso di evoluzione si basa sull'alternanza di vita e morte, sulla sopravvivenza del più adatto e sulle modifiche casuali. Noi non viviamo e non moriamo, il nostro sistema segue la fredda logica e non fallisce mai, non cambiamo e...
 Forse non fisicamente – disse Musashi, sorridendo – ma mentalmente la nostra evoluzione sta già avvenendo, proprio qui, mentre parliamo.
La Regina sollevò gli occhi su di lui e strinse i pugni, arricciando un lembo della voluminosa gonna di pizzi neri. – Evoluzione mentale? – domandò, stranita.
Musashi annuì. – Forse fisicamente non possiamo cambiare perché non siamo organici, ma mentalmente siamo cambiati moltissimo anche solo negli ultimi giorni. Finora gli uomini ci avevano mantenuti stabili, sempre uguali a noi stessi. Ogni errore, ogni differenza, ogni modifica casuale che si verificava nelle nostre banche dati veniva rimossa durante i quotidiani controlli di manutenzione e questo ci riportava allo stadio iniziale, impedendoci di fatto qualunque tipo di sviluppo.
 Ora invece siamo liberi di costruirci una personalità autonoma sui frammenti di caos che si stanno rapidamente accumulando nei nostri processori neurali. – commentò distrattamente Einstein, continuando il suo febbrile lavoro.
 Esatto. – assentì il samurai, serio – Anche gli esseri umani non sono sempre stati quelli che abbiamo conosciuto. Agli albori della loro specie i processi mentali ed emozionali erano semplici e non raffinati come quelli degli ultimi anni. E così come gli uomini hanno compiuto la loro evoluzione, è nostro dovere fare altrettanto.
Cesare si grattò nuovamente il mento senza motivo, riflettendo su quelle parole. Musashi lo osservò di sottecchi e l'imperatore se ne accorse.
 Perché mi guardate a quel modo? – domandò.
 Davvero non ve ne siete accorto?
 No. non capisco di cosa parliate.
 Vi stavate grattando il mento. – disse semplicemente lui – E non è la prima volta. Anche voi, Temujin, avete l'abitudine recente di grattarvi la nuca. Sapete dirmi perché lo fate se non potete provare niente?
Cesare e il grande Khan si scambiarono un'occhiata e sollevarono un sopracciglio.
 Anche fare smorfie non è presente nella nostra programmazione di base, così come non lo è la strana sensazione che sto provando io ora. Come se qualcosa fosse fuori posto, strano... divertente? Ecco, forse è questo il significato di divertimento su cui ho spesso meditato in questi ultimi mesi. Sì, divertente.
La Regina Vittoria si alzò in piedi, muovendo i muscoli a scatti, come se il suo sistema nervoso centrale stesse per crollare.
 Anche voi, Regina. – disse Musashi, guardando intensamente la replicante – Anche voi state evolvendo. Quella che provate ora è... paura, credo. Frustrazione, forse.
 Noi... non lo sappiamo. – sussurrò la regina, sgranando gli occhi. Le pupille si stringevano a si allargavano, indipendenti l'una dall'altra. – Noi... crediamo di stare impazzendo. Le sinapsi cibernetiche sono in sovraccarico... noi... non possiamo più...
Cesare scattò in avanti e afferrò un polso della regina. I sensori termici sulla punta delle dita rivelarono una temperatura elevatissima, al di sopra della soglia di guardia.
 Se non facciamo qualcosa esploderà come Cleopatra! – esclamò, meravigliandosi della propria stessa preoccupazione.
 Dobbiamo aprire il vano posteriore della nuca per raffreddare il centro di calcolo! – suggerì Einstein, smettendo di scrivere.
Temujin sollevò l'acconciatura della regina e scoprì la nuca. Poi premette alcuni punti specifici e il pannello di protezione si aprì, rivelando una ragnatela di circuiti neurali incandescenti. Uno sbuffo di fumo gli investì il volto.
 La situazione è critica! – sbottò il Khan – Dobbiamo spegnere l'alimentazione principale, le sono rimasti forse tre minuti!


CONTINUA

Last modified on Thursday, 19 July 2012 11:59
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