Al Science Plus Fiction di Trieste - persi fra 7 lungometraggi in 2 giorni! - purtroppo non siamo riusciti a seguire anche le proiezioni dei cortometraggi. Facciamo ammenda presentandovi ora un focus su un corto di produzione italiana, che ha conteso fieramente a Virtual Dating la palma, alla fine assegnata al film francese.
Si tratta di Corporate, opera seconda di Valentina Bertuzzi (romana, classe 1976), che l'ha scritto e diretto, peraltro con mano già alquanto sicura "da professionista", nonostante la giovane età (giovane per un regista nato nel deserto italico, ovviamente, come già s'è detto).
Almeno fino a che la macchina la induce a chiedere le dimissioni del suo capo, vecchio amico del padre, per prendere definitivamente il suo posto in azienda. Ma, nel mondo del life training digitale, prendersi il lusso di decidere per conto proprio è una mossa che può costare molto cara...
Cerchiamo di non svelarvi troppo della trama, lasciandovi scoprire il finale in qualche prossimo festival a cui il corto verrà presentato, dedicando qualche riga alla produzione del film. Che, come dicevamo sopra, è girato qualitativamente molto bene e realizzato - è evidente - con mezzi non "dilettantistici" (come sovente accade nel mondo dei corti, in cui spesso le ambizioni degli autori si infrangono sull'insufficienza dei mezzi disponibili); e per di più interpretato da attori tutti professionisti: l'anziano manager è infatti Luigi Diberti (da La Classe Operaia va in Paradiso ad oggi, ha lavorato con Lina Wertmuller, Monicelli, Avati, Argento, Muccino, Comencini etc.) – “quando ho saputo che accettava la parte stavo per svenire!”, ricorda la resista. Vera invece è interpretata da Valentina Lodovini, attrice più giovane, ovviamente (la protagonista dimostra una trentina d’anni circa), ma che ha già alle spalle film come La Giusta Distanza di Mazzacurati, Fortapàsc di Marco Risi e due titoli che usciranno nel 2010: Benvenuti al Sud e La Donna della mia Vita, “sono sicura che la vedremo molto nel cinema dei prossimi anni”, dice di lei la Bertuzzi.
Peraltro, anche la madre di Vera (Mirta Pepe) regge molto bene l’affettato dialogo “teleguidato” con la figlia.
Farcela
Tuttavia, come abbiamo sperimentato in molti (e spesso scritto anche qui), l’esser riuscita a riunire una produzione professionale per un proprio progetto di cortometraggio, formato che da noi non ha la bencheminima chance di mercato (non siamo mica in Francia!), è comunque un successo che ci ha incuriosito a parlare più con lei del suo percorso e del suo mondo espressivo. Già, perché l’altro dato sorprendente è la scelta del genere fantascientifico, come sappiamo snobbato dagli italiani e ancor più da quelli di sesso femminile.
A capofitto nel fanta
“Mi sono laureata alla Sapienza in Storia e Critica del Cinema con una tesi su Cronenberg e il rapporto fra carne e metallo nel suo cinema”, ci spiega lei, fugando ogni dubbio che si trattasse di un caso fortuito. “Tsukamoto e Lynch sono fra i miei miti insieme al Grande Canadese, e comunque frequento il genere anche a livello letterario: fra le mie letture c’è posto sia per i classici storici come Asimov e Dick, sia per quelli quelli più recenti, come Ballard e Gibson” (a proposito, mentre scriviamo, Valentina sta leggendo un piccolo “classico futuro” come Rave di Morte, quindi affrontiamo compunti il confronto con cotanto senno!).
“Penso che la fantascienza – grazie alla sua specificità narrativa di ‘giocare d’anticipo’ – abbia un grande potere d’indagine sulla realtà contemporanea”, continua Valentina, che ormai ai nostri occhi non appare più nemmeno come una ‘donna italiana’: deve sicuramente essere a sua volta un cyborg planato sul Belpaese da qualche lontanissima landa in cui cinema e letteratura del fantastico godono di altra considerazione!
“E conto di rimanere fedele a questo genere anche con il mio prossimo progetto, per il quale vorrei affrontare la sfida del lungometraggio. Non ha ancora un titolo – sto scrivendo ora la sceneggiatura, sempre con l’aiuto di mia sorella Francesca, precoce talento letterario – ma sarà una sorta di techno-thriller futuribile, sempre ambientato a Roma. Roma è un set molto stimolante per la fantascienza, perché con le sue architetture maestore sempre legate al passato è la negazione completa degli scenari che ci aspetteremmo in un film ambientato nel futuro o in una dimensione alternativa”.
Però, prima ancora degli scenari, la nostra curiosità è attirata dal genere prescelto: “techno-thriller”, dice Valentina. Un genere al quale – quantomeno in campo letterario – appartengono non solo il già citato Rave di Morte, ma anche diversi dei titoli italiani pubblicati negli ultimi anni da Urania: da Sezione Pi Greco Quadro di De Matteo ad Infect@ e Algoritmo Bianco di Tonani, fino all’ultimo Premio Urania E-Doll di Verso. Sappiamo che la propensione verso gli schemi narrativi del thriller ha animato un dibattito anche acceso sul blog di Urania, relativo al timore che la pluralità tematica consentita dalla s/f rischi di essere schiacciata dallo strapotere del noir quindi le chiediamo il suo parere.
“Non ho letto i titoli che mi hai citato, ma non vedo conflitto: io amo il noir e penso che il thriller – con il suo incentrarsi su cause e dinamiche dell’omicidio, quindi sul confine fra vita e morte (violenta), su un rapporto estremo con il corpo umano – si adatti benissimo alle prospettive del fantastico”.
Come anche l’horror?
“Sì, certo! Infatti è un genere che amo molto anch’io: concordo con te, per es., che Lasciami Entrare sia uno dei grandi film di quest’annata. E, restando al festival di Trieste, anche il premiato TiMer – dai toni pastello – ha una sua componente filosofica quasi horror nella coazione ad istituzionalizzare necessariamente ogni sentimento (nel film l’amore per ‘Mr Right’) nello sbocco inesorabile del matrimonio. Sarà che io non la vedo così ma mi sembra un ritorno a certi incubi da s/f anni ’50…”.
Aperto il discorso-classifiche, non abbiamo resistito a chiedere a Valentina gli altri suoi favoriti dell’annata cinematografica.
“Beh, sicuramente Inglorious Basterds, nel thriller Nemico Pubblico di Michael Mann (anche se non proprio al livello di Collateral), ma anche La Doppia Ora di Giuseppe Capotondi ha un’atmosfera noir-surreale veramente affascinante. E poi, sì, concordo con te su Antichrist di Von Trier e ci metterei anche il rinato Woody Allen di Basta che Funzioni”.
Farcela, ma come?
Ma, alla fine, non si può non affrontare La Domanda Principe? Come trova una regista italiana poco più che trentenne i mezzi per girare un corto assolutamente professionale e puntare al lungometraggio?
“Ah, non è facile, certo! Credo di essere stata molto fortunata ad aver incontrato un’altrettanto giovane casa di produzione – la Sator – che stava nascendo proprio mentre io mi accingevo a sviluppare Corporate (di cui qui a sinistra vedete riprodotta la fascetta completa). Loro stavano producendo dei lavori teatrali ma erano interessati anche al mezzo cinematografico. Ho proposto loro la sceneggiatura, che ha incontrato il loro favore senza peraltro dover superare alcuna pregiudiziale nei confronti dell’argomento fantascientifico, per cui hanno deciso di finanziare il progetto.
“Certo, non si tratta di budget faraonici: per esempio gli attori hanno accettato di recitare gratuitamente, anche grazie al ridotto impegno di tempo previsto da corto rispetto all’interesse che riscontravano nella mia storia, ma almeno questo ci ha consentito di girare il tutto con una vera troupe; e, anzi, di selezionare una squadra di collaboratori fidati (e sperimentati in precedenti lavori), con cui mi sono trovata benissimo e che vorrei accanto a me anche nel prossimo film, se potrò.
“Un elemento che ha giocato a nostro favore è stato anche l’interesse che tutti avevano nello sperimentare la resa della nuova videocamera digitale Red, che gira in full HD a una risoluzione di 4k, il che agevola notevolmente il lavoro di postproduzione e integrazione di SFX in 3D: insomma, l’obiettivo di testare i risultati del mezzo ha favorito il progetto complessivo.
“Naturalmente, mi rendo conto che quel che ha funzionato per un corto non è detto si ripeta per un lungometraggio, che necessita di tempi di lavorazione molto maggiori (che mi stanno già facendo impazzire ora!) e quindi di costi più elevati: ovviamente non sarà possibile pensar di far lavorare gli attori gratis, come non è detto che una piccola casa di produzione se la senta di impegnarsi su budget più ambiziosi e così via… ma questa è la strada che dobbiamo percorrere, no?”.
Certo, come non concordare?
Dal canto nostro, non possiamo che augurarci che il percorso di Valentina si riveli non una rara eccezione, ma l’inizio di una stagione un po’ più propizia all’espressione della creatività – anche cinematografica e anche nel fantastico – sotto il sole dello Stivale.
E ci auguriamo di riaverla presto ospite e collaboratrice di Posthuman.