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L'esemplarità dell'opera: Nightwatching di Peter Greenaway

Written by  30 Sep 2007
Published in Cinema
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Ripensare e riformulare se stessi nella massima coerenza estetica possibile è la sfida riuscita dentro Nightwatching. Un film stilisticamente perfetto, come se ne vedono pochi.

Avrei voluto scrivere una recensione su quanto Peter Greenaway possa definirsi posthumano, di come abbia cercato di reinterpretare il cinema come un nuovo linguaggio, fatto di medialità ed ipertesti, fatto di picture in picture che si rimandano all'infinito, di come Peter Greenwawy abbia rivoluzionato il concetto di piano nel fare l'inquadratura, abbandonando la narrazione lineare per sempre, la messa in immagini di un testo. Poi, però, mi è sembrato giusto utilizzare un'altra angolazione, quella dell'artista, l'artista che crea mondi, che riformula visioni, che è capace dopo oltre una quarantina di opere di trovare la lucidità creativa di fare un film come Nightwatching. Una fotografia raffinatissima, con tonnellate di sfumature che coprono l'intera storia della pittura, girate con il massimo tecnologicamente possibile: il digitale 4k. In soldoni sarebbe il 4 megapixel del video, per capirci prendete le tecnologie HD (Alta Definizione) presenti sul mercato e raddoppiatene le capacità, un HD al quadrato, otterete lo standard di ripresa 4k. Se volete lo stato dell'arte del digitale rivolgetevi a Peter Greenaway e al suo direttore della fotografia Reinier Van Brummelen, non ad hollywood. Questo già dovrebbe far riflettere che un autore, probabilmente uno dei più quotati registi inglesi degli ultimi trentanni, odiatissimo come solo un maestro può essere, riesca a portare a venezia qualcosa che è una frontiera del cinema. Apro una breve polemica con la giuria, che da anni è incapace di premiare opere d'arte, ma film tutto sommato modesti o politicamente pruriginosi di conflitti lontani, però che sanno stare nel mercato, come il grigio LUST di Ang Lee, copia insipida di un libro ben riuscito e decisamente più noioso di "the black book" di Paul Verhoeven. Inoltre dispiace che un bullo di quartiere come Brad Pitt prenda riconoscimenti per i suoi sforzi di attore, mentre il bravissimo Martin Freeman, che è riuscito a dare corpo e anima a Rembrandt non sia stato nemmeno menzionato. Ma cosa diavolo bisogna fare per essere riconosciuti come grandi attori? Fate un confronto tra la raucedine in abito da cowboy e il meraviglioso, energico, sensualissimo martin freeman. Rotondo e delizioso come il suo rembrandt. Ma se il mio discorso si fermasse alla tecnologia di frontiera, al cast strepitoso del film, alle performance di freeman, alla fotografia di greenawy-Brummelen citazionista di quadri e luci di maestri della pittura, al testo brillante, concettuoso, storico e pieno di ritmo, alle splendide musiche fatte dall'italiano Giovanni Sollima, diciamo metterei in campo solo degli elementi di grande interesse. Ma il risultato nella combinazione alchemica tra questi elementi è devastante in termini di bellezza, 134 minuti di bellezza. Ma non solo. Un film diventa opera d'arte in questa raffinazione dei pensieri più cari di greenaway, in un testo asciutto, velocissimo, il senso stesso dell'estetica del cinema che il regista si porta dietro. La storia di rembrandt, di questo quadro, diventa la storia del cinema, la storia del senso dell'attorialità, dell'immagine. Rembrandt decide di fare un quadro, quasi per sbarcare il lunario, alla milizia civica di Amsterdam. Presto però questo quadro che è tra i più famosi del pittore dopo monna lisa o l'ultima cena, diventerà una maledizione ed una prova sul senso della sua arte e della sua integrità che il regista dovrà affrontare. Scopre infatti complotti e corruzioni mentre va dipingendo i vari personaggi. Questo lo spinge a fare del quadro un autentico urlo, un grido di accusa contro i personaggi coinvolti, ma lui stesso è nel quadro, un occhio distante e nascosto nel gruppo, il quadro diventa una riflessione critica sul senso del guardare e del dipingere, della maschera e dell'allestimento, della messa in scena per raggiungere l'opera. Ecco che rembrandt in realtà cerca maschere e costumi, cerca la caratterizzazione per i suoi personaggi, crea una storia dentro l'immagine, è definitivamente un regista che allestisce la scena le dà senso e significato. I suoi contemporanei hanno paura perchè sanno che i suoi quadri parlano. L'immagine ha la sua autonomia di linguaggio, la pittura, ma in un senso più vasto il cinema ha la sua autonomia. Non è la prima volta che Greenaway riflette sui rapporti tra pittura e cinema e prende posizione anche in maniera estrema, come quando da giovane realizzò un corto di cabine telefoniche, ogni cabina era un quadro che citava un periodo nella storia della pittura. Quel Greenaway dotto e didascalico si è spinto oltre, recupera il senso stesso dell'essere un artista, quell'equilibrio magico nel realizzare l'opera che sfida i tuoi contemporanei e ti rielabora il senso di quello che fai, che ti mette in discussione ma contemporaneamente ti rappresenta. Forse ti distruggerà economicamente e socialmente come è successo a rembrandt, ma che importa se riesci a raggiungere quella vetta espressiva che fa entrare il quadro "La ronda di notte" nella storia dell'arte? Che importa se non sei premiato a Venezia?

Nightwatching
Anno: 2007
Cast: Martin Freeman, Emily Holmes, Michael Teigen, Toby Jones, Jodhi May, Eva Birthistle, Michael Culkin, Matthew Walker, Fiona O'shaughnessy
Regia: Peter Greenaway
Sceneggiatura: Peter Greenaway
Fotografia: Reinier van Brummelen
Montaggio: Karen Porter

Durata: 02:14:00

Last modified on Sunday, 30 September 2007 21:02
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