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LouLou-Tallica nel fuoco del peccato. O degli integralismi?

Written by  15 Nov 2011
Published in Musica
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Il Monumentale Lulu del 69enne Lou Reed accompagnato dai Metallica si candida ad opera rock storica: parole grondanti sesso e disperazione, suoni di fuoco. Uno degli album dell'anno, a dispetto di molti pregiudizi.


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Mi proponevo di dedicare un ampio servizio al monumentale progetto musical-teatral-letterario di Lou Reed, sfociato nel doppio album Lulu (cover in apertura), appena uscito nei negozi e oggetto di aspre polemiche da parte dei fan prima ancora che apparisse, della sua genesi come colonna sonora dell'omonimo lavoro teatrale di Robert Wilson tratto dalla doppia tragedia di Wedekind (e di cui vedete un'immagine qui a destra), quindi performato in scena dagli attori teatrali, quindi parzialmente suonato live da Reed con Laurie Anderson e John Zorn (vedete un paio di clip al link di Sentieri Selvaggi).

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E alla fine approdato in studio di registrazione con i Metallica come eccezionale band, che definire "d'accompagnamento" sarebbe ingeneroso: un turbine sonoro inedito per entrambi i poli della collaborazione, destinato a fare storia, nel bene (secondo il sottoscritto) o nel male (secondo molti).

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Poi ho scoperto che il numero di novembre di JAM dedica a Lulu una cover story di 7 pagine, più un'ampia, esaurientissima recensione (a firma di Claudio Todesco) come disco del mese, che sposo interamente.
In qualche modo l'ampio servizio mi sembra di colpo inutile: cos'ho da aggiungere io a quanto già leggibile su carta? C'è tutto, l'intervista agli artisti (nella foto di Corbijn sotto a sinistra), firmata Chris Roberts, le tappe della gloriosa carriera di Lou, le sue molte sorprese spiazzanti per i fan (dal sofferto Berlin, album che ha più d'un punto in comune con Lulu, allo sperimentale Metal Machine Music, al cameristico Songs For Drella con Cale su Warhol etc.).

E poi la storia del capolavoro maledetto di Wedekind e il suo shock nel teatro borghese del '900, la versione cinematografica di Pabst (Il Vaso di Pandora), che incoronò Louise Brooks (foto a destra e sotto a sinistra, che assonanza di nomi eh? Lulu, Louise, Lou...!) mito eterno della seduzione della femme fatale (tema vagamente loureediano, no?!)...

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Un mito anche mio personale: la sua foto (di Eugene Richee) che vedete qui accanto ha campeggiato nella mia camera di ragazzo da ben prima che io sapessi bene cos'era esattamente il binomio seduzione/disperazione, l'espressionismo tedesco e tutto quanto.

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Tutt'al più, sapevo - ed è l'unico dettaglio che manca nel servizio di Jam - che la Brooks era stata anche il modello su cui Guido Crepax aveva creato un'altra icona dell'erotismo femminile nel '65: sì, proprio Valentina!

Osservate le due strisce riprodotte sotto a destra: sono proprio quelle in cui il personaggio nel fumetto, dopo la visione del film di Pabst, senza nulla sapere della diva decide di farsi quella stessa pettinatura (che diventerà celebre nel mondo), specchiandosi, quasi confondendosi con lei. Il Mito, la Venus In Furs (acc, ci risiamo eh?!) di un secolo.

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Ma torniamo al disco: certo, dicono in tanti, un progetto culturalmente molto ambizioso non è implicitamente garanzia di risultati all'altezza, specie nel campo del dannato rock, uso a farsi beffe delle pretese di autonobilitazione dei suoi idoli. Infatti da più parti si levano cori d'accusa: Lou Reed non canta, recita, quasi borbotta i testi qua e là.

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E sai che novità, vero? Saranno 30 anni che il suo salmodiare è stato definito "recitativo epico"! Come se non ci fossero brani 'spoken' o quasi in Songs For Drella, The Raven (il precedente concept, dedicato a Edgar Allan Poe) etc.

E poi, soprattutto dal 'partito del metal', giù gli attacchi alla band: i Metallica non son più loro, la fusione fra i due stili non c'è stata, il gruppo non ha più nulla da dire...
Bene, sarà che il sottoscritto invecchia, ma mi sembra di risentire periodicamente sempre le stesse scempiaggini: ero ancora al liceo quando il mensile Rockstar rispose ai fan inviperiti perché i Van Halen, nel disco Diver Down, suonavano la batteria "addirittura" con le spazzole. La rivista ricordava loro che il rock è sempre stato fusione di elementi diversi: imbrigliandolo in una formula rigida non avrebbe certo prodotto dischi migliori. E che difficilmente un ipotetico Dio dell'Heavy Metal - in chiodo e lunga chioma - si sarebbe presentato adirato ai colpevoli brandendo la mazza punitrice per quell'oltraggio all'ortodossia.

Ricordo poi - una decina d'anni dopo - i fan degli U2 imbestialiti per la svolta elettronica dei loro irlandesi preferiti (Achtung Baby, Zooropa, Pop): Bono "non ha più voce" (sussurrava negando i cori a pieni polmoni alla Pride), sono diventati "commerciali" (il marchio inevitabile), mentre invece la band stava proprio arrischiando il nuovo per non adagiarsi sugli allori (casualmente Jam celebra ora anche i 20 anni di Achtung Baby annunciando l'immancabile ristampa superdeluxe).

Stessi discorsi sui dischi new wave di Iggy Pop o sull'acustico Avenue B, sul Boatman's Call di Nick Cave e via dicendo. E vogliamo dire degli stessi Metallica? Anche loro dopo il successo hanno osato scontentare il 'Metal God' e i fan con un doppio live con orchestra sinfonica, due album più 'morbidi' (Load e Reload), le cover dei loro miti su Garage Inc. (non solo Black Sabbath e Motorhead, ma persino Killing Joke, Nick Cave e... Woody Guthrie!), ma anche con i successivi album, dal suono tornato furente ma senza assoli.

Eppure il pregiudizio continua: ho seguito su FaceBook discussioni rassegnate al peggio tra metallari già delusi prima ancora che il disco uscisse, solo dopo l'ascolto di un estratto di The View. Gente che ora s'appiglia a qualunque pretesto - come la non esaltante partecipazione allo show di Fazio - per non smentirsi.
Tutto pur di non staccarsi dalla propria rigidissima aspettativa su cosa i Metallica "dovrebbero fare" e ascoltare almeno una volta quel che hanno fatto davvero. Accettando l'idea che se - dopo aver spaccato il mondo con Master of Puppets - saranno ricordati come una grande band nella storia del rock, questo accadrà proprio perché han saputo rifiutare la riproposizione all'infinito di un cliché vincente rimettendosi sempre in discussione. Come Lou Reed, come Bowie, Eno, Fripp, gli U2, Nick Cave, Tom Waits, Peter Gabriel, Neil Young...

Voi ascoltatelo, Lulu. Ascoltatelo concentrati (il fan site italiano ve lo presenta brano per brano, aiuta). Meglio in cuffia: i vicini (metallari o meno) non si lagneranno e voi potrete godervi gli intrecci di due, tre chitarre; a volte dell'acustica con sotto il lamento delle due elettriche, delle loro dissonanti armonie con la sezione d'archi che il geniale produttore Hal Willner (da anni al fianco di Lou Reed e Laurie Anderson) ha sfilacciato lungo diversi brani, su tutti la conclusiva, lunghissima Junior Dad, la cui registrazione pare abbia indotto alle lacrime Kirk Hammett.

Ascoltatelo leggendo i testi, raramente così ispirati e taglienti, evoluzione diretta di classici come Venus in Furs, Lady Day, Kicks, mai così diretti e spietati sul binomio sesso-morte. Digerite versi come "Io sono la la verità, la bellezza / che ti fa superare / tutti i tuoi sacri confini .... Voglio vedere il tuo suicidio / vederti rinunciare / alla tua vita ragionevole / Voglio vederti sul pavimento" (The View). Oppure "Oh Jack, ti scongiuro / Suprema violenza ... Ingoierò il tuo arnese da taglio più affilato / come il cazzo di un negro" (Pumping Blood). O ancora: "Mi piacerebbe avere una striscia di sangue / Che potresti guarire con un bacio / Legami con una sciarpa e dei gioielli / Mettimi un bavaglio insanguinato tra i denti" (Mistress Dread, cioé 'Padrona Terrore', chiaro?). Vi basta? E' solo un assaggio, badate. Lulu non fa sconti fino alla fine. E' un Lou Reed "distratto e svogliato", questo?

Ascoltatelo. E non stupitevi se vi servirà riascoltarlo una seconda volta per assimilarlo. Secondo me non sarà fatica sprecata, anche se non c'è un singolo forte cui attaccarsi subito. E c'è caso che fra 20 anni scopriate che qualcuno (di quelli che "il rock non è più come una volta, dov'è il punk, il grunge oggi", avete presente?) addirittura lo ricordi come un'opera unica ed epocale, senza precendenti nella storia fino ad ora. Quale in verità è. Anche se realizzata da un quasi 70enne, accompagnato da quattro quasi 50enni!

Una specie di The Wall del 2011... a proposito, chi si ricorda le polemiche perché "i Pink Floyd non erano più gli stessi"? Eppure, pensate: un mese fa Alice Cooper ha chiuso il concerto (bellissimo) di Trezzo intercalando la sua School's Out con Another Brick In The Wall. Che peraltro era stata omaggiata qualche anno fa anche dai Korn. Succede sempre così agli album "da dimenticare", secondo voi?

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Giusto in chiusura, per i rocker cinefili ricordo che - oltre ai celeberrimi esempi citati all'inizio - il mito di Lulu non ha mai smesso di sedurre registi a metterne in scena il viaggio al termine della perdizione e della dissoluzione: infatti, in tempi recenti Walerian Borowczyk ha firmato la sua versione nel 1981. Mentre risale solo al 2005 la Lulu dei fiamminghi sperimentaleggianti Maartje Seyferth & Victor Nieuwenhuijs (locandina qui a sinistra), stavolta trasportata in un'ambientazione contemporanea; proprio l'ultimo Nocturno loda il loro più recente lavoro: Meat, appena passato a Sitges 2011.

Ascoltare, guardare...


Mario G

 

Last modified on Monday, 28 October 2013 09:18
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