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Honey Don't: il lezbo pulp "che NON c'era"

Written by  17 Sep 2025
Published in Cinema
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Come profetizza il titolo, il secondo capitolo della trilogia lesbo di Ethan Coen, con tutti i cliché di un genere ormai maniera, non convince e tradisce il patto con lo spettatore. In sala dal 18.


HoneyUn paesucolo nel polveroso nulla della California più desertica, edifici bassi, insegne pubblicitarie a colori pastello sbiaditi. Abitato da un poliziotto tonto, un barista grezzo, una madre oberata di prole ingestibile, una masnada di americanacci stupidi, sciovinisti, fanatici e facilmente violenti. Fra cui qualche criminale autentico, pericolosamente spietato. Solido rock Sixties di sottofondo (qui We Gotta Get Out Of This Place degli Animals eseguita da Brittany Howard, nella notevole sequenza d'apertura coi nomi del cast stampati come insegne sulle case di Bakersfield).
Questo è un perfetto schema per un hard boiled tarantiniano, un genere basato sul reimpiego ironico dei cliché del genere, ormai diventato a propria volta maniera.Honey


Se invece del classico duro folgorato dalla femme fatale ci mettete una giovane lesbica infuocata per la culturista della palestra vi viene fuori Love Lies Bleeding, se s'accende per una poliziotta (foto sotto a sinistra) vi troverete per le mani Honey Don't! (locandina qui a lato e trailer sotto), secondo capitolo dell'annunciata "trilogia di film lesbici di serie B" (definizione mai così attinente!), dopo Drive-Away Dolls del 2024 (che non abbiamo visto, ora con ancor minore rimpianto) di Ethan Coen, separato dal fratello Joel e affiancato alla sceneggiatura dalla moglie Tricia Cooke.


HoneyLa quale, va detto, è stata al fianco dei due fratelli d'oro del cinema "pulp d'autore" hollywoodiano in molti dei loro lodatissimi capolavori - dal Crocevia della morte a Fargo a L'uomo che non c'era (da cui il calembour del titolo dell'articolo) - ma qui (sarà l'assenza di Joel) fa malamente cilecca, pur con gli stessi elementi neo noir, black comedy e pessimismo cosmico filosofico.

HoneyPerché se la condanna di un omicida sfuggito alla sedia per un crimine non commesso, o un killer senza pietà che lascia decidere le sue sentenze di morte al testa o croce di una moneta sono brillanti espressioni di un destino cinico e assurdo che nega alcun senso all'umana vita, imbastire un canovaccio pseudo tarantiniano già logoro di (pur divertenti) battutacce al vetriolo, improvvisi ammazzamenti crudelissimi, per arrivare a un finale che nega il senso dell'indagine dell'implacabile Honey O'Donahue (Margaret Qualley) giacché il colpevole primo degli omicidi non è quello che eravamo portati a credere e viene scoperto per puro caso, mentre un sacco d'altri personaggi (volutamente antipatici, idioti e sopra le righe) vengono malamente ammazzati sostanzialmente senza motivo, per le futili cause del pulp e - quel ch'è peggio - senza lasciare in noi spettatori la minima emozione.


HoneyGiacché la trama, che segue le indagini di Honey Qualley a partire dalla morte in auto di una giovane che non sembra proprio un incidente, nel tentativo di riagguantare quella "autorialità nel genere" che era la griffe dei Coen, in realtà non fa altro che tradire il patto con lo spettatore (come deve sempre sapere lo scrittore), dicendogli che ciò che ha seguito fin lì è in realtà una non-storia senza alcun senso compiuto. E che serve solo ad inanellare numerose scene erotiche bollenti: lesbo, etero, a triello, una (solo accennata ché termina nel sangue) di omosessualità maschile.
Per dire cosa? Che nel paesucolo sono tutti maniaci sessuali? Che gli uomini sono tutti meschini? Che le donne possono solo sfornare grappoli di figli e farsene distruggere come la sorella di Honey (significativo punto in comune col film di Rose Glass) oppure ribellarsi attraverso una sorellanza rabbiosa?


HoneyQui non c'è alcun approfondimento della psicologia femminile né alcun "messaggio femminista", a meno che questo non vada letto nel mettere in scena maschi odiosi, meritatamente castigati dalla durazza Honey Qualley, "neo-Clint delle sorelline", che però bene faranno a prendere le distanze da prodotti come questo, che anzi rischiano di sterilizzare nel cliché dell'autoparodia anche le loro istanze serie.


HoneyPurtroppo, la matassa irta di cliché, ancorché abilmente girata dal Coen in levigata confezione pop e spiritosa assai in più situazioni, non sfoggia neppure tali prodezze stilistiche di regia da renderla una sorta di videoinstallazione del neonoir cristallizzato, alla Too old to die young del Refn, per intenderci (trailer qui sotto).

La piacevolissima colonna sonora, tarantiniana pur'essa come si diceva all'inizio ancorché a cura del fidato Carter Burwell di molti precedenti film coeniani, sfoggia anche diversi brani interpretati dalla stessa Qualley in una inedita incarnazione canora che non le conoscevamo.

 

Mario G

Last modified on Wednesday, 17 September 2025 15:12
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