Ancora Dracula? Ma si può ancora cavar fuori qualcosa di non detto dopo la sterminata filmografia sul conte transilvano portato sulla pagina da Bram Stoker nel 1897, specie dopo che già Robert Eggers aveva rinfrescato di cromatismi bluastri il Nosferatu già di Murnau/Herzog, che poi sempre la stessa vicenda narra? Questo era il dubbio che mi travagliava andando all'anteprima stampa dell'opus magnum di Luc Besson e la risposta è sì, si può: il controverso regista francese dall'ondivaga filmografia - in grado di sedurre gli americani sul loro terreno del neonoir pulp con Nikita (1990, poi rifatto in USA e pure serializzato), di affrontare grandi produzioni internazionali sci-fi (Il quinto elemento) e storico-semifantasy (Giovanna d'Arco) e di pastrocchi inguardabili come Adèle e l'enigma del faraone o Valerian e la città dei mille pianeti (pur tratto dal suo fumetto preferito in gioventù), ma anche di brillanti rinascite come Lucy e secondo il sottoscritto anche l'ultimo Dogman - ce l'ha proprio fatta!
Besson, che pare abbia ideato il progetto proprio per tornare a lavorare coll'inquieto Caleb (anche consigliatissimo musicista neopsichedelico folle), sulla carta uno dei volti meno adatti ad interpretare il tenebroso dandy ematofago, qui è stato anche produttore e autore della sceneggiatura, il che ci fa pensare che si tratti comunque di un film fortemente voluto.
E la riscrittura del gotico romanzo epistolare dell'irlandese Stoker è infedele quanto sanno essere i registi con grandi visioni cinematografiche larger than life e autenticamente originale: approfondisce come mai prima d'ora il passato di Vlad principe di Valacchia perdutamente innamorato della giovane e bellissima consorte Elizabeta (Zoë Bleu, figlia di Rosanna Arquette), dai giochi d'amore con la quale (i due ruzzano sul talamo giocando a cuscinate e facendomi pensare, chissà perché, all'ingenuo Tom Hulce, Amadeus per Forman) viene strappato dalle crudeli esigenze della guerra per essere rivestito d'armatura (con cimiero da 'coniglio mannaro' alla Donnie Darko!).
Vlad/Caleb vince i turchi, ma in un'imboscata perde l'amata (dopo una spettacolare cavalcata su una pianura innevata), la cui salvezza era stata la sua unica richiesta a Dio; che quindi rinnega, diventando l'immortale principe delle tenebre succhiatore di sangue che sappiamo, che girerà il mondo (novità di Besson) convinto di ritrovare un giorno la sua amata reincarnata. A Baghdad scopre addirittura un'essenza aromatica, che si fa raffinare a Grasse e confezionare in profumo a Firenze e che diventerà (altra Besson-invention) l'arma segreta del suo irresistibile fascino sulle donne (con citazione del Profumo di Süskind/Tykwer): la sequenza in cui lo usa per dirigere le danze in una sontuosa festa a Versailles - di cui non oso immaginare il costo di produzione, a ogni cut le dame cambiano abiti (e che abitini)! - è un capolavoro visionario da storia del cinema, che frulla insieme il ballo del Gattopardo, la Marie Antoinette di Sofia Coppola e movenze quasi da balletto zombie di Thriller di Michael Jackson (cioè John Landis).
Besson taglia senza remore quel che alla sua visione non serve e che tanto tutti già sappiamo: la fuga di Harker (Ewens Abid) dalla prigionia nel suo castello, la traversata in nave di Dracula con l'inesorabile morìa dell'equipaggio, l'invasione dei ratti pestilenziali a Londra... anzi, essendo francese, già che c'è sposta la vicenda a Parigi. Poi cancella Renfield: il suo ruolo passa direttamente alla sensuale Lucy, che qui diventa la bolognese Maria de Montebello (la realmente bolognese Matilda De Angelis), procace amica di Mina Murray (sempre Zoë Bleu, non solo bella nell'impegnativo doppio ruolo).
Maria, giovane esuberante ma anche sensuale succube di Dracula dai canini già affilati, è destinata a una delle scene più sanguinose della pellicola. Infine, soprattutto, sostituisce il cruciale professor Van Helsing con un Prete cacciatore di vampiri (senza nome), dai sempre suadenti ma ironicamente risoluti modi di Christoph Waltz, memore dell'Inglorious Landa e del dentista Schultz di Django. Spariscono anche le tre spose-schiave-vampire di Dracula (nel film di Coppola capeggiate dalla Bellucci e sonorozzate da Diamanda Galàs, ricordate?): i suoi servitori-guardiani qui sono i gargouille di pietra del castello, che il vampiro anima e comanda (addirittura una reminiscenza dal Gobbo di Notre Dame disneyano del '96, via La bella e la Bestia di Cocteau, in fondo un Dracula ante litteram?).
Il personaggio del Prete non è una sostituzione casuale, perché il principale conflitto dell'immortale vampiro non è con l'opaco Harker o il più astuto cacciatore, bensì direttamente con Dio, il quale ha "tradito" la sua preghiera per l'amata Elizabeta e poi gli ha tolto il sollievo di poter morire come tutti gli uomini per la sua consacrazione al Male. Quindi, una volta sostituito anche il ridicolo inseguimento para-western alla carrozza di Dracula verso il castello transilvano di Coppola (comunque principale benchmark di Besson, si direbbe, per la sontuosità della messa in scena) con un più logico assedio di soldati ungheresi (inevitabile carneficina finale), Besson scarta di netto i raggi di sole letali dell'alba, fuoco, decapitazioni e ogni altro concepibile stratagemma ammazza vampiri.
Il Prete/Waltz è sì armato di punteruolo e martello, ma il confronto col sovrannaturale arcinemico è tutto morale, filosofico: "Dio mi ha abbandonato eppure io ho ucciso per lui, la mia anima è sporca del sangue dei suoi nemici", rimprovera Dracula, che ha ormai conquistato e sedotto Mina a ricordare d'essere la reincarnazione di Elizabeta e tutti i momenti felici vissuti con lui quattro secoli prima. "Dio è amore, non può chiedere che si uccidano le sue creature. Se hai ucciso, l'hai fatto per te stesso", gli risponde Waltz, educato e implacabile. "Pensi di salvarla o la stai rovinando? Se la ami davvero lasciala andare, per tornare alla vita e voi a Dio" (*), è la straziante controproposta del religioso.
Vi lascio scoprire in sala (dal 29 ottobre per Lucky Red) il finale del più disperato amore della letteratura romantica, fiero d'aver scoperto che il capolavoro di Stoker può ancora nutrire visioni potenti e che il coraggioso Besson sa ancora agguantarle con mano ferma, al netto di qualche eccesso di kitsch e di grottesco non indispensabile.
Ad esempio, i gargouille animati cartooneschi, ma ancor più la testa di Maria che vola attraverso il salotto e colpisce in faccia il povero dottor Dumont (Guillaume de Tonquédec) mentre il corpo decapitato ancora cerca di stritolare il Prete, è una concessione allo splatter da primo Peter Jackson che secondo me non c'entra con questo film, pur a dispetto dell'ingordigia postmoderna di citazioni dall'intera storia del cinema che il regista vi ha imbandito e io vi ho (forse solo parzialmente) documentato.
Struggente colonna sonora invece debitamente romantica ad opera di Danny Elfman (compositore prediletto da Tim Burton e Sam Raimi), qui sinfonico come l'ambientazione richiedeva: pur provenendo dalla new wave degli Oingo Boingo, anch'io ammetto a malincuore che usare canzoni rock (come ha fatto la Coppola nel suo citato Marie Antoinette) sarebbe stato fuori luogo. Come si conviene, vi commuoverete a Bach e Chopin. Ed Elfman, certo.
Ma, oh, se vi commuoverete...
Mario G
(*) NdR: i dialoghi tra virgolette sono stati riportati (in parte a memoria) dalla visione del film originale con sottotitoli, potrebbero non essere perfetti alla lettera.