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Giöbia e Northwinds: psichedelie a confronto

Written by  02 Nov 2015
Published in Musica
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L'ultimo, ammaliante Magnifier dei milanesi ed Eternal Winter dei francesi rievocano il passaggio dalla psichedelia sessantottesca di Pink Floyd e Red Crayola verso il prog/hard marca Purple/Sabbath dei primi ’70.


“Un bel concerto: dal vivo la voce è ancora più ovattata di quanto si senta sul disco e l'impressione più positiva secondo me la fa la sezione ritmica. Il Cox comunque era stracolmo di gente, un pubblico mediamente più giovane e più ‘figheggiante’ di quel che di solito si vede ai concerti rock alternativi”. Questo il parere da noi raccolto velocemente da Fabio Bianco, guru dello storico negozio di dischi Psycho (a poca distanza dal citato centro sociale), occhio attento da sempre al barometro della scena indie rock, sul concerto tenuto appunto dai al Cox lo scorso 16 ottobre (e da noi purtroppo perduto).

 

RumoreMa naturale: ormai la band dei fratelli Basurto è a propria volta un punto di riferimento della psichedelia italiana (di cui leggerete in un dossier su Rumore di novembre, di cui vedete la cover a lato), per non dire internazionale, visto che incide per l’etichetta tedesca Sulatron Records, fondata da Dave Schmidt dei Sula Bassana, per cui hanno pubblicato anche i francesi Aqua Nebula Oscillator (pure visti in passato al Cox, ottimi) e il norvegese Annot Rhül (il notevole debutto pinkfloydiano Lost In The Woods).

 

L’ultimo album dei milanesi, Magnifier, è il disco italiano di cui si parla al momento e sembrerebbe destinato a far fare loro il grande salto nella “serie A del rock indipendente”. Noi glielo auguriamo di cuore, perché in effetti si tratta di un album notevole, che fa pulsare nell’aria vibrazioni del pifferaio  ai cancelli dell’alba, un pazzo diamante dalle sonorità ipersature, cui in verità non manca anche qualche cupo riverbero sabbathiano (The Stain, la loro Into the Void?).Giobia

 

Un mix che in qualche modo ritroviamo anche altrove: per esempio nel nuovo album Eternal Winter dei francesi Northwinds, ora accasati presso la genovese Black Widow. Un disco che – al di là delle evidenti ascendenze ozzyane del cantante Sylvain Auve – ad un ascolto più attento rivela che non di solo doom del nero sabba vive la loro musica, in realtà: brani mediamente lunghi, ricchi di cambi di tempo, soli e preziosismi strumentali sicuramente più progressive del puro hard/doom cui è associato il gruppo francese (in apertura del nostro articolo, anche le due copertine simbolicamente accostate ben riflettono i rispettivi mondi di riferimento delle rispettive band).Northwinds

 

In un certo senso, si potrebbe dire che i due dischi si passano il testimone agganciando due anelli della catena evolutiva del rock d’ispirazione psichedelica nel passaggio dai tardi ’60 ai primi ’70: più da trip spaziale, iterativo e “ingolfato” di riverberi quello dei Giöbia, più evoluto nelle parti strumentali, con sonorità più “pulite” e ricercate quello dei Northwinds, che tira maggiormente verso l’hard con sfumature prog, specie nelle parti strumentali con intrecci di organo e flauto, in cui si profilano in lontananza i fantasmi dei Deep Purple e dei Jethro Tull.

 

Ma, al di là di queste (neanche tanto sottili, poi) sfumature che sicuramente li differenziano, ben percepibili soprattutto nelle parti vocali (distanti e distorte nei Giöbia (nella foto qui sotto, tratta dal loro sito), ben presenti e modulate nei Northwinds) io trovo nei due album una vena visionaria comune (oltre che il gusto del recupero di atmosfere vintage): delle lente progressioni di accordi e riff spiraleggianti e avvolgenti, che puntano verso le zone buie dello spazio profondo che all’epoca attiravano lo sguardo di altre due fondamentali formazioni del suono psycho/hard/prog, Hawkwind e Blue Öyster Cultgiobia

 

Potrete rendervene conto se supererete impavidi i primi quattro brani dell’Eterno Inverno dei Nordici Venti: il quinto, dal purpleiano titolo di A light for the blind, coi suoi oltre 10’ di durata e le aperture tastieristiche ambient che evocano persino aurore boreali del “Sogno al Mandarino”, è sicuramente il brano in cui la loro vena “cosmica” si distende più compiutamente. Che si fa sentire in tutta la seconda parte dell’album: l’organo con cui si apre la successiva Under your Spell e il blend cori/organo di No Peace at Last (che introducono la conclusiva, più dura cavalcata di Inferno) saldano alla perfezione i due mondi contigui.

 

Se potete, io farei in modo di viaggiare con entrambi gli album sulla vostra navicella.

 

 

Mario G

 

Last modified on Monday, 02 November 2015 18:04
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