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Non più - libero teatro dietro le sbarre di Bollate

Written by  11 Nov 2011
Published in Teatro
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Intelligente e spiazzante regia di Michelina Capato Sartore per lo spettacolo di NON PIU’ - Frammenti di libertà, all’improvviso del Teatro In-Stabile con i detenuti-attori del carcere modello di Bollate. In scena fino al 19 novembre.

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"Quando batteranno alla tua porta
Come andrai ad aprire,
Con le mani sulla testa
O sul grilletto della pistola?"

(The Clash, Guns of Brixton)


Entriamo mentre i detenuti-attori agiscono scene di teatro danza su musica techno.
Alla fine del brano noi ormai siamo tuti seduti sulle gradinate di legno della sala teatrale al termine dei chilometri di corridoi del carcere di Bollate.

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La regista Michelina Capato Sartore entra in scena, ci dà il benvenuto ringraziandoci per la pazienza durata per superare l'inevitabile burocrazia della visita di esterni a una prigione (per quanto modello).
E si scusa: "Non Più" - nomen omen - non può essere rappresentato questa sera, perché la compagnia è stata prescelta per rappresentare l'Italia nell'ambito di un progetto internazionale, accanto a simili realtà teatral-carcerarie di diverse nazioni, bandito dall'Università di Youngstown, Ohio.

Quindi ora il Teatro In-Stabile dovrà esercitarsi nel performare quanto richiesto dai capitoli del bando del progetto, sotto la supervisione di un docente accademico italiano presente in sala: e qual migliore occasione per farlo che quando lo spazio è già fornito di vero pubblico ad assistere all'improvvisazione?

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Il professore detta al microfono i temi proposti: improvvisazione singola e di gruppo sull'espressione della rabbia (nel corso della quale viene citato il capolavoro barricadero dei Clash citato in apertura), esposizione di esperienze personali e così via.

Quando partono le improvisazioni, il coordinamento fra attori, luci e musiche, la coreografia dei movimenti di scena rende chiaro che la cornice del progetto è essa stessa parte dello spettacolo, ma ormai la sorpresa ci ha fregati: ci siamo fatti prendere in contropiede proprio sui nostri stessi pregiudizi sul contesto in cui si sarebbe svolto lo spettacolo, il carcere. Ovvio che allora "non sarà un vero e proprio spettacolo teatrale, forse più un esercizio socio-terapeutico, rieducativo, ma di valore artistico da apprezzare nel contesto...".
Fregati.

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L'astuta e spiazzante trovata, oltre a darci da pensare sui nostri binari mentali, consente anche di creare delle pause motivate tra un quadro e l'altro, senza farci percepire "buchi drammaturgici"; dando intelligentemente un senso al lavoro (che effettivamente si basa molto sull'improvvisazione e sulla libera espressione di sé) portato avanti dalla compagnia, anche in forza dei reali obiettivi sociali e rieducativi dell'impiego del linguaggio teatrale all'interno dell'istituto di pena, oltre che alle inevitabili imperfezioni tecniche (recitative, di dizione) di attori non professionisti (a parte le due donne in scena, di cui vedete l'espressiva Matilde Facheris in ben tre delle foto ai lati), peraltro comunque molto ben preparati e guidati dalla regia nell'espressione del proprio vissuto.

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Proseguendo, e svelata la sorpresa, il gioco del dialogo-battibecco in scena professore-regista mostra un po' la corda, si percepisce maggiormente la sua natura recitata; specie quando i due si scaldano sulla correttezza o meno di esporre in scena il vissuto individuale più doloroso dell'uomo-detenuto, piuttosto che proteggerlo con un velo di 'privacy' rispettosa. La querelle si fa polemica e il professore lascia la scena stizzosamente, così sciogliendo la ripetitività che il format stava assumendo.

Ma la performance prosegue, dando comunque voce a quei vissuti dolenti e costretti, i cui testi sono stati scritti dagli stessi detenuti attingendo proprio dalle rispettive esperienze individuali e dove la privacy è stata protetta facendo recitare a ciascuno non il testo proprio ma quello scritto da un altro.

E sull'efficacia "educativa" della partecipazione al progetto teatrale da detenuto fa fede l'evidente soddisfazione con cui gli attori incassano i meritati complimenti da parte del pubblico al termine dello spettacolo, quando per alcuni minuti le barriere vengono sollevate e i "civili" hanno occasione di stringere la mano e fissare negli occhi i reclusi.

"Io ho preso otto anni per due grammi di coca", dice Luciano. Che rispondergli di sensato, mentre il Parlamento è ancora ingolfato di gente che di certo ne consuma molta di più nei suoi lussuosi festini? Lo so, non tocca né al condannato né a noi discutere la correttezza o meno di una sentenza (si sa, è privilegio che appunto spetta solo ai politici!), comunque sul momento ci stringiamo nelle spalle e sorridiamo. E basta.

Il teatro avrà ridato dignità al dolore - più o meno meritato - di Luciano e dei suoi compagni di detenzione/recitazione? Sicuramente sì, ognuno di noi ha fisicamente bisogno di specchiarsi nella realizzazione di qualcosa nel corso della vita, e in qualche forma di riconoscimento di essa da parte di chi ci sta intorno.

A parte che, anche da un punto di vista puramente tecnico-artistico, il lavoro di Michelina Capato ci sembra molto riuscito, a quale risultato più alto potrebbe mirare il teatro che ridare un pizzico di dignità a chi si trova nella situazione di averne ben poca agli occhi del mondo, e far riflettere chi contempla la scena dalla posizione più comoda?

Piccola nota personale: con mezzi più spartani e una visione registica più semplice, la via del Teatro In-Stabile mi è parsa forse più vicina alla persona-detenuto-attore di quella - sicuramente più arditamente autoriale - dell'ormai affermatissima e pluripremiata compagnia della Fortezza di Arezzo.


Mario G


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N.B.: NON PIU’ - Frammenti di libertà, all’improvviso è in scena al carcere di Bollate fino al 19 novembre: si accede SOLO su prenotazione, QUI leggete come fare.

Last modified on Monday, 14 November 2011 11:20
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