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Alpha diventerà una... "statua urlante"?

Written by  12 Sep 2025
Published in Cinema
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Il nuovo film di Julia Ducournau punta al senso di emarginazione, intrecciando un misterioso contagio pietrificante, l'autodistruzione con la droga ai "comuni" problemi dell'integrazione razziale, culturale e dell'omosessualità. Con abbaglianti visioni pur in una sceneggiatura frammentaria.


AlphaInsomma, il dibattito sembra che sia se la regista francese premiata a Cannes per Titane abbia abbandonato il suo body horror viscerale e disturbante per una visione autoriale più intimista e "allegorica" (la definizione è ripresa dal servizio su Movie, mensile in distribuzione gratuita nei cinema, da cui abbiamo tratto anche le dichiarazioni della Ducournau che seguono sotto).


fantasmiBene, se questo è il problema possiamo tranquillizzare chi ci legge: il terzo lungometraggio della lodata regista parigina (locandina a lato, trailer sotto) pesa come un macigno col suo accumulo di visioni di minaccia incombente, panico sociale e conseguente emarginazione, soffocandoci progressivamente come una stanza chiusa (in cui si svolge gran parte della vicenda) dall'aria viziata, o meglio "virata". Nel senso di piena di virus, la mai nominata misteriosa epidemia (metafora di AIDS e Covid insieme) che minaccia l'altrettanto imprecisata banlieu francese (non viene detto nemmeno dove e quando si svolge il film ma s'intuisce una Parigi lontanissima da ogni cartolina), pietrificando la pelle di chi la contrae fino a trasformare i malati in statue di marmo (di qui il riferimento nel titolo dell'articolo alle "statue urlanti" nel mio racconto La danza nel cimitero, anche se è probabile che Ducournau si sia ispirata al più famoso "Morbo Grigio" del Trono di Spade); i quali alla fine esalano nuvolette di vapore col fiato presumibilmente divenuto gelido.


Alpha"Volevo dipingere come 'belli' proprio coloro che la società ha coperto di vergogna, elevare quelle vite e morti a qualcosa di sacro", spiega sempre Ducournau su Movie. L'idea del morbo che pietrifica i contagiati è visivamente geniale, ma la regista non dubiti che l'inquietudine - griffe del suo cinema - è salva: la scena in cui la Madre (Golshifteh Farahani, mai nominata esplicitamente) tenta di ripulire la schiena in avanzata marmorizzazione del fratello tossicomane contagiato Amin (Tahar Rahim, abbracciato alla sorella nella foto sotto a destra), provocando una sorta di piccola esplosione della sua 'crosta rocciosa' dorsale che si svuota in uno sbuffo di polvere rossastra è agghiacciante più che 'bella', quanto possiamo aspettarci dall'autrice della ragazza-automobile di Titane.


AlphaUna madre coraggio "marmorea" non tanto nel corpo (lei guada intatta tutti gli orrori del film) quando nella forza d'animo di difendere dal contagio letale la scriteriata figlia tredicenne Alpha (Mélissa Boros, sopra il titolo nell'intenso primo piano finale del film e qui sopra abbracciata alla Madre), che si è lasciata tatuare a una festa equivoca (musicata con Roads dei Portishead) di coetanei sballati con un ago probabilmente infetto, ma anche di cercar di salvare il fratello drogato dall'autodistruzione. E va detto che era dai tempi di Cristiana F. - Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino che il sottoscritto non incontrava un tossicomane disturbante come l'autodistruttivo Amin dalle braccia bucherellate e dai tremori squassanti.


AlphaPiù che una 'trama' vera e propria, il film risulta una sorta di 'quadro in movimento': un accumulo di situazioni - quotidiane, domestiche - di sospetto ed emarginazione: in primis di Alpha, sospettata d'essere infetta e quindi emarginata dai compagni di scuola, dal fidanzato e persino dal preside (terribile la scena del panico all'allargarsi della macchia di sangue in piscina (qui a sinistra), in realtà per una banale testata contro il bordo). Del suo professore d'inglese, bollato come gay dagli allievi per "come legge" in classe la poesia A Dream Within a Dream di Edgar Allan Poe. Della famiglia marocchina, che si sforza d'integrarsi nella cultura francese (Alpha si arrabbia quando gli adulti si parlano in berbero), anche se la misteriosa superstizione tribale del "vento rosso" maledetto sembra trovare un riscontro nel finale dal realismo magico nella periferia invasa da una tempesta di sabbia rossastra portata dal vento (foto sotto). Ma altrettanto terribile è la sequenza dell'ospedale vuoto, da cui la Madre scopre essere spariti tutti i colleghi (che crea un imprevisto punto di contatto col pur diversissimo Life of Chuck kinghiano). L'ospedale assaltato da una folla di contagiati e relativi parenti che premono per entrare tenuti fuori a forza dalla guardia "per ordine del direttore" e finalmente accolti per le cure dalla Madre invece fa pensare per un attimo a un film di zombi.


AlphaIn una sceneggiatura un po' frammentaria, in cui i personaggi continuano a correre da un nessun luogo all'altro senza speranza, dove l'unico luogo davvero esplorato chirurgicamente è il corpo col suo potenziale di minaccia, cresce l'empatia fra la giovane Alpha e lo zio Amin, che nella sua disperazione tossica sembra l'unico a condividere davvero sulla propria pelle il marchio del reietto che ora sperimenta la ragazzina. E, se non ci serve un plot avvincente come un thriller come nelle sue opere precedenti, riesce a farci percepire fisicamente, sulla pelle, il disagio di essere emarginati come probabile pericolo da chiunque ci stia intorno. Un tema che non si può dire non sia nello zeitgeist del momento. Vivendo d'intensi flash, come la scena in cui Alpha e Amin sono a un concerto rock (qui a destra in uno scatto di backstage con la regista), ripreso al rallentatore e in bianco e nero, in cui risalendo dalle gambe della cantante punk sul palco scopriamo che anche lei si sta quasi interamente marmorizzando ("Interpret signs and catalogue / A blackened tooth, a scarlet fog. / The walls are bad. Black. Bottom kind. / They are sick breath at my hind").

 

AlphaPur senza star di grido, tutti gli interpreti sono estremamente intensi e convincenti. La colonna sonora è ancora a cura del fido Jim Williams, che accompagna una sequenza onirica al rallentatore con l'immortale The Mercy Seat di Nick Cave al pianoforte (presumo dal live Idiot Prayer, dal brano abbiamo preso la cit. del testo qui sopra), che la rende subito struggente; mentre il drammatico e visionario finale (still a sinistra) è accompagnato dall'Allegretto del Secondo Movimento della Sinfonia n. 7 di Beethoven, a sua volta riarrangiato per solo pianoforte: un brano non nuovo al cinema, ma che ogni volta riuscirebbe a far piangere anche un sasso.
Anche un bastardo razzista, forse.

 

Come l'antipodale Life of Chuck citato, sarà in sala dal 18 settembre (per I Wonder).

Come il film kinghiano, anche se con effetti opposti, da vedere assolutamente.


Mario G

Last modified on Friday, 12 September 2025 15:19
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