Ecco appena uscito (30/11) nelle sale italiane il capitolo conclusivo della trilogia dei Manetti Bros. tratto dai fumetti di Angela e Luciana Giussani. In Diabolik, chi sei? (qui sotto il trailer, a sinistra la locandina, a destra la copertina della novelization della sceneggiatura a firma dello stesso Cappi, NdR).
Giacomo Gianniotti entra più a fondo nella parte del protagonista, in cui ha sostituito Luca Marinelli dopo il primo capitolo. Miriam Leone e Valerio Mastandrea erano già perfetti fin dal principio nei panni di Eva Kant e dell’ispettore Ginko. Prova intensa quella di Pier Giorgio Bellocchio nel ruolo del sergente Palmer, personaggio creato appositamente per il cinema, che riunisce vari comprimari di Ginko in un’unica figura riuscitissima.
Tra le curiosità: Barbara Bouchet nel breve ruolo della contessa Wiendemar (nome dalle risonanze fantozziane già menzionato in Ginko all’attacco!) e Max Gazzé nella parte di... Diabolik travestito da tale Giulio Bruner (riportato nell’elenco ufficiale come Giulio Mondan, forse con un cambio di nome in corso d’opera per evitare l’assonanza con Diego Manden, di cui parlo più avanti).
Uno degli aspetti interessanti di questi film è del resto vedere diversi attori interpretare Diabolik ed Eva Kant quando questi prendono il posto dei loro personaggi. Così come, qui più che altrove, è sorprendente vederli quando si tolgono le maschere, passando da un volto all’altro sotto gli occhi del pubblico e non fuori scena.
Come per i due film precedenti, anche stavolta la sceneggiatura espande la storia raccontata in un albo degli anni Sessanta (per la precisione il n. 5, anno VII, del 4 marzo 1968, ovvero il n.107 nelle ristampe, copertina qui a sinistra, mentre a destra vedete il bellissimo remake disegnato da Corrado Roi, NdR), cui resta in sostanza fedele pur ricollegando vari fili degli altri capitoli cinematografici; in particolare le sottotrame aggiunte di Altea (Monica Bellucci), figura importante nella serie a fumetti ma assente nelle storie originali di Ginko all’attacco e Diabolik, chi sei? E, come nei due film precedenti, la vicenda viene spostata avanti di qualche anno: se il primo, tratto da L’arresto di Diabolik (1963), era dichiaratamente riambientato alla fine degli anni Sessanta, già nel secondo, tratto da Ginko all’attacco (1964) si avvertivano atmosfere prossime agli anni Settanta, che esplodono ora nel terzo.
Anche qui costumi, scenografie, location, oggettistica, veicoli (ai lati foto dallo stand di Cartoomics 2023) e persino musica (dei sempre eccezionali Pivio & Aldo De Scalzi, coadiuvati da Calibro 35, Alan Sorrenti, Mario Biondi e altri ancora) ricostruiscono in modo perfetto non solo un’epoca, non solo i luoghi del tutto immaginari del fumetto, ma addirittura la cinematografia del periodo scelto. Per esempio, la banda di rapinatori nell’albo originale ricalcava quelle del noir francese e americano degli anni Cinquanta, qui invece proviene direttamente dai fotogrammi del poliziottesco. Tra i criminali spiccano Mario Sgueglia nel ruolo di Emilio (con qualche eco di Gian Maria Volonté) e Massimiliano Rossi nella parte dell’avvocato Diego Manden, laido intrallazzatore nell’ombra.
Ma Diabolik, chi sei?, al pari dello storico albo su cui è basato, contiene anche la rivelazione della origin story del personaggio, che spiega tutta la sua complessa psicologia. Era la parte più difficile da trasporre nel passaggio dal fumetto al film, ma i Manetti ci sono riusciti benissimo: in vari flashback in bianco e nero, opportunamente inseriti nella pellicola, vediamo il protagonista ancora senza nome che viene educato al suo futuro di fuorilegge (sotto a destra la riproduzione della mappa dell'immaginaria Clerville) e incontra la determinante figura “paterna” di King (Paolo Calabresi).
Venti anni fa, cominciata la mia collaborazione con Diabolik, evidenziai in un documento alcuni elementi fondamentali per una sua trasposizione sullo schermo, anche in vista di un pubblico internazionale che non ne sapesse nulla; con mia grande soddisfazione, li ho ritrovati tutti nella visione dei Manetti Bros. (nella foto a sinistra, NdR). Questo film, singolarmente forse il più riuscito, fornisce anche la chiave di lettura dell’intera trilogia e del progetto cinematografico degli autori. E dimostra la conoscenza dei registi non solo del Diabolik dei fumetti – trasposto con il debito rispetto – ma anche della storia del cinema di intrattenimento, soprattutto italiano: la stessa che spesso ispira Quentin Tarantino, ma che pare sfuggire a buona parte della critica. Ormai funziona così: certe stroncature sembrano preparate a tavolino su un modello prefabbricato cui, dopo l’anteprima, si aggiunge frettolosamente una battuta “ageista” sui filtri nelle riprese della mia coetanea Monica Bellucci.
Intendiamoci, qualche difetto non manca, ma non appartiene solo a questi tre film. Da quando il cinema italiano è passato alla recitazione in presa diretta, non tutti gli interpreti si rivelano all’altezza; ma questo vale più o meno per ogni produzione nazionale, cinematografica o televisiva che sia. Un tempo ogni nostro film veniva doppiato da cima a fondo, abbinando per esempio star italiane come Bud Spencer e Terence Hill alle voci di Glauco Onorato e Pino Locchi, e amalgamando con il doppiaggio al resto del cast attori stranieri come John Saxon, Henry Silva o Lee J. Cobb. Non dimentichiamo che Fellini, dopo avere impiegato ne La strada Anthony Quinn e Richard Basehart, ne Il bidone avrebbe voluto affiancare quest’ultimo ad Humphrey Bogart (!) il quale, già malato, fu sostituito da Broderick Crawford. Grazie alla sala doppiaggio, si potevano scegliere gli interpreti solo in base alla faccia e alla fisicità, e farli recitare tutti perfettamente in italiano.
Un altro difetto in tutto il cinema di intrattenimento (e non solo) a livello mondiale, è che se si guardano le trame con attenzione spesso si trovano qua e là piccoli dettagli rimasti in sospeso. Ma a questo, nel caso della trilogia di Diabolik, c’è rimedio: ho provveduto io a riunire tutti i pezzi del mosaico nelle novelization dei tre film, i romanzi che trovate in edicola al giovedì con La Gazzetta dello Sport fino al 14 dicembre 2023 (e di cui sopra la testata vedete il composite riassuntivo, NdR).
P.S.: Cappi è ormai di casa su Posthuman, ma quando analizza fenomeni in cui si muove come nella sua Bat-cave di casa (come indubbiamente il ladro dai coltelli) si vorrebbe averne sempre di più.
Invitiamolo a tornare presto da noi per un'altra incursione nel pulp "che-se-non-se-ne-parla-noi"...