Nel corso del festival letterario Premio Torre Crawford (San Nicola Arcella, 10-12 settembre), prima della presentazione dell’antologia Soniche Oblique Strategie, sono stato invitato dal presidente di giuria e pulp-teacher Andrea Carlo Cappi (peraltro uno degli autori inclusi nella S.O.S. medesima) ad offrire un contributo al ricordo di Stefano Di Marino (nella foto a lato), colonna di Segretissimo e maestro di spy thriller dolorosamente scomparso lo scorso 6 agosto, un po’ come un personaggio disperato di una sua trama (qui sotto a sinistra l’omaggio dedicatogli da Andrea Falsetti sul blog della collana spionistica mondadoriana mentre a destra vedete l'ultimo titolo pubblicato in agosto con il suo storico protagonista, Chance Renard, detto Il Professionista).
Per un ricordo più vivo dell’uomo e dello scrittore vi lascio alle parole del suo storico amico e collega Kapp/Torrent, insieme all’altra sua amica di lunga data Alda Teodorani, che l’hanno conosciuto più a lungo e più profondamente di me – trovate tutto nel video completo dell’incontro – concentrandomi di più sull’opera, in particolare sulla sua passione e abilità nel ricreare le atmosfere del cosiddetto Thrilling o (com’è ormai noto nel mondo) Italian Giallo: quello stile magistralmente codificato dal giovane Dario Argento nelle sue prime pellicole thriller degli anni ’70, che ora è diventato una sorta di spezia cult altamente ricercata nel cinema che dopo Tarantino ci siamo abituati a definire “pulp”: espressionismo visivo “pop” anteposto alla logica cartesiana del giallo deduttivo classico, enfasi sui dettagli “paurosi” della messa in scena dell’assassinio (guanti neri, impermeabile, lame, soggettive del killer), ricercata violenza grafica nella rappresentazione dei delitti e col passare degli anni crescenti dosi di erotismo e morbosità.
Fine artigiano di diversi generi – non solo spy ma anche sci-fi, fantasy, action, western e horror (come ad es. il recente Voodoo Darkness per Weird Book la cui copertina vedete qui a lato), talvolta fusi insieme e, ovviamente, noir – Di Marino si è dedicato più volte a ricreare sulla pagina scritta anche le atmosfere di quell’italian giallo che era certamente più cinematografico che letterario (fra i protagonisti ovviamente anche Aldo Lado, altra guest star del festival di Torre Crawford con le sue memorie in presa diretta dalla stagione aurea del giallo italico): prima con l’antologia da lui curata Il Mio Vizio è una Stanza Chiusa (titolo ispirato al celebre thrilling di Sergio Martino con Edwige Fenech, cover a lato), uscito per il Giallo Mondadori nel di cui a mia volta avevo già scritto su Nocturno e QUI.
Ora con Il Bacio della Mantide, il suo ultimo giallo pubblicato da parte di Oakmond Publishing (in apertura la bella copertina con quadro di von Stuck), che ho avuto l’opportunità di leggere proprio durante il lungo viaggio in treno Milano-Scalea, arivando con mia sorpresa ben oltre il previsto “assaggio” necessario a chiacchierarne con cognizione di causa dal vivo con Cappi, bensì fin oltre pagina 180. E questo è già il primo banco di prova per il narratore di razza: se il lettore – ancorché non neofita – si aggancia subito alla trama e non riesce più a staccarsene, neanche nelle ore più profonde della notte, vuol dire che la storia “prende”. O, come ha detto Cappi medesimo nel corso dell’incontro, che noi lettori “sentiamo la paura per il destino dei personaggi in pericolo”, il che appunto misura il nostro grado di empatia con la finzione orchestrata dall’autore.
Che dell’italian giallo rimescola in modo personale molti tòpoi: un serial killer misterioso e psicopatico, una femme fatale, che qui stranamente coincidono, ribaltando il cliché secondo cui nello “spaghetti thriller” siano sempre le donne a morire (come osservò un critico straniero), perché questo consentiva al regista la messa in scena della fuga (spesso con vestiti strappati), i disperati tentativi di difesa della vittima designata e il suo inesorabile slashing (frequentemente all’arma bianca, che rende l’omicidio più diretto e “carnale”, come nell'esempio citato proprio nel corso dell'incontro: la fuga della donna nel parco di 4 Mosche di Velluto Grigio, da cui il frame qui sotto a destra).
Nel Bacio della Mantide sembra proprio che sia una donna ad uccidere – ma come può se è già morta nel tentativo di fuggire dal manicomio criminale in cui era reclusa? – mentre le vittime appartengono ad entrambi i sessi democraticamente: in un hotel di Latina isolato da provvidenziale tempesta, infatti, qualcuno è riuscito a riunire lo sbirro (menomato) che aveva arrestato la mantide-killer, l’unico superstite delle sue sadiche orge sanguinarie, la di lui fidanzata tossicomane, il criminologo tv star che le aveva fatto scampare il carcere attraverso l’ospedale psichiatrico, l’infermiera che l’aveva in cura là dentro e ne aveva subìto il fascino letale e la gestrice dell’albergo, pittrice dilettante che alla famigerata assassina aveva dedicato un inquietante tela il cui occhio malvagio sembra seguire tutti i malcapitati ospiti della struttura, più qualche incolpevole comprimario dello staff e partner dei protagonisti, destinati a non miglior fine solo per il fatto di trovarsi nel posto sbagliato a completare le torbide trame di relazione con i bersagli della vendetta di “Moira la Pazza”.
Vietato anticipare altro del giallo perché bisogna arrivare fino in fondo per scoprire l’identità del killer, che del thrilling d’epoca ha altre due caratteristiche: sfiora argentianamente l’horror sovrannaturale non solo per la sua efferatezza omicida, ma per la sovrumana capacità d’essere sempre ovunque e un passo avanti alle sue vittime e al detective che cerca di chiudere il caso con un nuovo arresto. E si rivela, con allegro sberleffo dell’autore ai canoni classici del giallo deduttivo, personaggio tutto sommato marginale del plot (a mio avviso l’unico difetto dell’avvincente architettura narrativa del Di Marino). Ma qui siamo proprio alle pagine finali del libro, dovrete arrivarci da voi, e vi garantisco che ne varrà la pena: io l’ho terminato sempre avidamente nel viaggio di ritorno da Torre Crawford, dimenticando ancora una volta cosa fosse il sonno.
C’è altro da chiedere a un giallo?
Chiudiamo l’omaggio al compianto Stephen Gunn – e al Premio Torre Crawford che ci ha permesso di porgergli l’ultimo saluto – ricordando che la “sua” collana Segretissimo gli dedica un premio “spionistico”, di cui QUI trovate il bando. Cimentatevi e... occhio che giocate coi grandi.
Mario G