“Soltanto nelle tenebre può nascere la luce”
Nel mezzo del cammin di sua vita, Adam ha subìto un terribile incidente d’auto, in cui sono morti l’amatissima moglie Basia e il migliore amico. In questa selva oscura che la diritta via era smarrita, incapace di rimettere insieme i cocci di una vita “normale”, il protagonista lascia la carriera accademica di poeta e docente di letteratura, per ridursi a lavorare come cassiere in un supermercato, via via isolandosi sempre più dal resto del mondo, eccezion fatta per una zia filosofa, che lo sprona a non lasciarsi andare citandogli Epitteto, Seneca e un poema persiano da lei tradotto (la citazione in apertura).
Nel suo deambulare attonito e aporetico per una Katowice desolata, Adam incontra i segni della tragedia collettiva che ha colpito realmente la sua Polonia nel 2010, consonanti alla sua tragedia personale: la gelata di un inverno polare nelle immagini innevate all’inizio del film, i servizi al telegiornale su una terribile alluvione, che ha colpito il Paese con una violenza tale da smuovere persino le bare interrate nei cimiteri, come in una sorta di nuovo, reale Inferno dantesco. Poi la nube vulcanica islandese portata dal vento, per concludere col disastro aereo che ha decapitato la classe dirigente polacca sempre nel 2010, quando il Tupolev presidenziale si è schiantato vicino a Smolensk in Russia, uccidendo tutti i 96 passeggeri: premier polacco, first lady, direttore della banca centrale, capo dell’esercito, diversi ministri e parenti delle vittime dell’eccidio di Katyn (una strage di ufficiali polacchi perpetrata dalle milizie di Stalin nel 1940). Quasi una nuova piaga biblica.
L’unico sollievo di Adam in questo Inferno sono i versi dell’amata Divina Commedia (di cui il regista è fine conoscitore) e il sonno, cui si abbandona anche nei momenti meno opportuni: sulle panche di una chiesa al lavoro (venendone malamente cacciato), mentre guarda l’inane tv o guida l’auto. È la porta che gli dischiude un barocco e surreale mondo di visioni oniriche (da cui ovviamente il titolo), chiaramente simboliche anche se non sempre di lineare decodifica (e qui aiuta molto l’intervista al regista negli extra del dvd).
Onirica è il terzo capitolo della trilogia formata da Il giardino delle delizie (2004, dall’omonimo dipinto di Bosch) e I colori della passione (2011, dal quadro Salita al Calvario di Pieter Bruegel il Vecchio, con Rutger Hauer e Charlotte Rampling) – ambedue pure in dvd CGHV – che il polacco Lech Majewski ha dedicato ad opere d’arte immortali. Unico a trarre ispirazione dalla letteratura anziché dalla pittura, il film ha passo lento e narcolettico come il suo protagonista e, spiega il regista nella già citata intervista (girata davanti al Castello Sforzesco di Milano), se vi aspettate dei colpi di scena drammatici vi deluderà senza speranza. Ma se vi sentite orfani del grande cinema di ricerca interiore di 8 ½, Blow Up, sicuramente amati dal regista polacco, ma anche del Solaris di Tarkovskij e direi anche de Il cielo sopra Berlino di Wenders, ecco che Onirica vi apparirà degno epigono di cotanti capolavori tendenti all’astrazione, alla filosofia o al misticismo.
Da vedersi ben desti, a differenza del malinconico Adam, perché il film non fa nulla per riscuotervi qualora vi cadesse la palpebra, ma nondimeno da vedere assolutamente: il Majewski è infatti creatore di visioni potenti, originali e poetiche come pochi di questi tempi, mai dirette visualizzazioni dei versi danteschi ma personalissime epifanie su cui ognuno di noi deve mettere del proprio per scioglierne i simbolismi. Come l’angelo in chiesa, la dolce “Beatrice” nuda che allatta un neonato sulla riva di un laghetto, l’aratro che dissoda la corsia del supermarket, la donna televisiva tentatrice con serpente, gli amanti aerei, per finire con la tarkovskijana scena finale, col protagonista che guida la barca con l’amata ritrovata verso una luce che si trasformerà nella vetrata dell’abside della della chiesa iniziale.
Onore e vanto di CG Entertainment dunque aver osato distribuire prima in sala e ora in home video per chi (come il sottoscritto) se lo fosse lasciato scappare, questo come anche gli atri due personalissimi quanto fieramente anticommerciali film del poeta polacco, che studiò pittura a Venezia e s’innamorò di Dante.
Mario G