È uscito da poco, sempre per Hypnos, il secondo capitolo della saga de Gli Strani Casi di Ulysse Bonamy di Ivo Torello (appetitosa cover sempre by Elena Nives Furlan in apertura): gemmati dal brillante ed evidentemente fortunato romanzo La casa delle conchiglie, i Casi del Bonamy sono un po' la "serie commerciale" delle Edizioni Hypnos, che sposta l'azione dal tardo '800 alla Belle Epoque, mettendola in mano a un protagonista - definito "protetto di Madame Sabatière" per continuità col romanzo d'origine - che è un po' una versione più gaglioffa del circa contemporaneo Arsène Lupin (il ladro gentiluomo di Leblanc, non il cartone giapponese, stolti!), anche se l'autore ci spiega d'essersi ispirato più al Delon di Che gioia vivere.
Adorabili canaglie e sottane svolazzanti
Un simpatico detective dilettante e nullafacente, contiguo - si dice, anche se poi nella trama non si vede - ad ambienti parigini non proprio raccomandabili, che quel che difetta in termini di classe nei confronti del suddetto ladro in guanti bianchi lo recupera in disinvolta consuetudine con le arti occulte.
Questa sua seconda avventura parte con premesse pruriginose quanto mai, non solo nel titolo, spiritosamente pulpissimo (L'harem delle vergini dannate): un amico del Bonamy, autore sotto pseudonimo (Jules Jukes) di libercoli licenziosi, viene assunto come insegnante in un austerissimo collegio femminile per pulzelle della buona società (tipo quello che vedete nella foto d'epoca a destra propostaci dall'autore stesso), ma ben presto si trova accusato di celebrarvi orrendi rituali di magia nera con deplorevole corruzione di minori coinvolte come ancelle dei vizi che, ahilui, il poveretto coltiva effettivamente, anche se solo in forma platonica.
Pochi Suspiria de profundis
Se l'isolato istituto per fanciulle gestito da una congrega di negromanti vi fa fiutare aroma di Suspiria, abbassate subito le antenne horror: come al solito, col Bonamy l'occultismo è più che altro pretesto per uno sfizioso gioco di società e per lo svolazzar di sottane (minorenni e non) che è il principale svago degli alto borghesi che ruotano intorno all'Ecole nella storia. Insomma, più Degas (anche citato nel libro) che Argento! Il ricco e documentato corredo di citazioni lovecraftiane in cui l'autore si diletta con gusto e competenza spazia infatti dai Culte innominables di von Junzt alle evocazioni "Iä, Shub Niggurath" al grande "capro dei mille cuccioli", recitate con inquietante copricapo cornuto d'ordinanza, ma alla fine risulta chiaro che tutti questi parafernalia non sono intesi ad altro che ad "allattar le cucciole" del collegio assai disinibite a ben più umane protuberanze.
Ci sono Antichi e Antichi
Un trattamento ben diverso da quello riservato al medesimo Grande Antico ad esempio da Anders Fager nel racconto Le Furie di Borås, che apre la sua antologia Culti Svedesi (sempre Hypnos da noi, copertina a lato), che vi consiglio vivamente per la capacità di far rivivere gli ancestrali rituali pagani in un'ambientazione di moderna discoteca, ad opera di adolescenti non meno bramose ma ben più selvagge e sanguinarie delle ninfette in calore dell'Ecole de Grève.
Quindi, ça va sans dire, un caso su misura per quel pezzo di pane del Bonamy (nomen omen) che, da astuto furfantello scansafatiche qual ci viene presentato, è invece subito pronto a farsi assumere come sguattero del minaccioso collegio e rischiarvi l'osso del collo pur di riscattare l'onorabilità dell'amico criptopornografo e pedofilo solo di fantasia, senza mai approfittare nemmeno dei piaceri che la situazione offrirebbe a un furbacchione come lui.
Poco verisimile, dite? Già, ma lo sono forse di più i personaggi dei telefilm del suddetto Lupin o del Simon Templar cui l'autore s'è maggiormente ispirato, e più in generale della narrativa pulp o "commerciale", da Weird Tales a quella che affolla gli scaffali delle odierne librerie?
Pulp moderni e scaffali
E qui si apre un'altra riflessione per l'avveduto lettore, per ora principale target dell'editore Hypnos, che appunto a quegli scaffali in pugno alla grande distribuzione editoriale manco ci arriva: uno potrebbe infatti chiedersi che senso abbia sviluppare una serie "leggera", dalla foliazione sempre sulle agili 140 pagine e dalla fruizione godibile e scorrevole (va detto che quando inizi un Bonamy non lo molli fino alla fine), quando sai che non potrà comunque diventare libro da ombrellone 2020 e nemmeno un "Eymerich della Belle Epoque" (paragone stridente ma non del tutto: in entrambe le serie l'indagine del protagonista smonta l'apparente occultismo del caso a ben più umane proporzioni).
Maledetti francesi
Parentesi: va anche detto che un "vero giallo commerciale" come, poniamo, La Maledizione delle Ombre (copertina qui a ) del navigato Jean Cristophe Grangé (Garzanti), autore già fonte di ben quattro film coi suoi thriller, sfoggia ancora armi più affilate per sedurre il lettore "medio" del pur raffinato Torello. E cito Grangé solo perché l'ho appena divorato, anche se non potrebbe distar di meno dalle indagini art nouveau del Bonamy, nonostante le comuni passioni pittoriche (qui va Goya) e l'appeal morboso degli omicidi di spogliarelliste con tecniche shibari su cui indaga il suo tormentato sbirro Stéphane Corso.
Infatti, benché nella costruzione dei personaggi del francese siano evidenti tutti i cliché dell'hard boiled moderno - detective maledetto con matrimonio in crisi etc. - con la psicologia del suo protagonista non si riesce a non empatizzare e anche le figure di contorno sono sbozzate con un artigianato più consumato di quello che anima i personaggi della saga Bonamy, che mai escono dal divertito gioco di società, come l'abbiamo definito all'inizio, ovvero dalla commedia di costume.
Svolgo queste riflessioni - che investono anche quel che scrivo io en auteur - ripensando al discorso con cui Franco Forte (patron di Delos Books e direttore delle collane da edicola Mondadori) concluse l'ultimo Stranimondi: ossia che per dar vita a una saga letteraria (o magari a una serie tv) occorre dare vita a personaggi forti, di cui il lettore desideri sapere ancora e ancora, come appunto è riuscito a Camilleri con Montalbano e ad Evangelisti (unico nel fantastico italiano) col citato Eymerich, più che le originali e ardite ambientazioni di cui in genere ci compiaciamo noi autori fanta.
L'arte, la carne e il diavolo
Scontato questo peccatuccio genetico, Gli strani casi di Ulysse Bonamy (di cui è già annunziato per maggio il terzo episodio) sono un divertissement leggero ma al contempo colto per ambientazione e citazioni artistico letterarie, molto godibile per il decor più che per colpi di scena o profondità psicologiche, frizzante sollazzo per il weirdista meno "solitario" del capostipite di Providence e più incline di lui ai piaceri della carne e dell'arte libertina, che peraltro l'autore sta squadernando già da due numeri dell'Hypnos magazine nella sua impagabile Strana Storia dell'arte a puntate (accanto la copertina dell'ultimo uscito, a sinistra la maliziosa visione della Morale secondo Franz von Bayros, uno degli artisti da lui inseriti nella sua galleria virtuale), ideale pendant al suo mondo immaginifico.
Mario G.