Un lussuoso evento di lancio, con trasferta verso il cinema Arcadia di Melzo, gadget in pellicola del film da 70 mm e visita guidata all'avveniristica cabina di proiezione (a sinistra) atta a sparare le nitidissime immagini verso lo schermo da 30 mt di base che vedete nella foto a destra in rapporto alla presentatrice umana.
Ma anche uno di quei film che poi ti mettono paura quando li devi recensire: tre ore (meno ormai è fuori legge) di fittissimi dialoghi (all'anteprima stampa in originale con sottotitoli non facili da seguire), di non trascurabile complessità, in cui s'intrecciano problemi di fisica grossi come montagne ed eventi storici che hanno schiacciato con responsabilità pesanti come pianeti (tuttora non estinte) le gracili spalle di un pugno di uomini - scienziati, politici, militari - non supereroi ma miseri uomini come tutti noi in fondo, chiamati a por fine al conflitto più devastante della Storia dando vita al più tremendo ordigno di morte mai concepito dall'umanità. Per sconfiggere Hitler strappandogli tutti gli scienziati ebrei prima che se la procurasse lui; ma poi no, anche dopo che Adolf s'era già dato la fine nel suo bunker berlinese, per battere gli irriducibili giapponesi che ancora non mollavano. E badando bene a non lasciar trapelare la ricetta agli odiati alleati sovietici, già previsti prossimi nemici giurati.
L'America parte svantaggiata ma Oppenheimer/Murphy, pungolato dal generale Groves/Damon, recupera il ritardo e ce la fa, trasformando il deserto di Los Alamos (in New Mexico) in un riuscito trailer dell'apocalisse che poi l'Enola Gay scaglierà su Hiroshima (l'unica scena davvero spettacolare che il soggetto offrirebbe a un regista medio). Ma il bombardamento sul Giappone il film non ce lo mostra, se non dopo, con la soddisfazione del presidente Truman/Oldman, che consola "quel piagnone" di Oppenheimer del "sangue che gli sporca le mani", ché tanto quello sporca solo le mani di chi ha dato l'ordine di lanciarla, la bomba, non di chi l'ha realizzata scientificamente. Una delle scene più drammatiche del film nel suo cinico humour.
E come fa, quel "piagnone", a riuscirci? Mettendo insieme e governando non senza difficoltà un pool di umani "supereroi" della fisica: Niels Bohr (Kenneth Branagh), Hans Bethe (Gustaf Skarsgård), Ernest Lawrence (Josh Hartnett), l'ingegnere Vannevar Bush (Matthew Modine), David Hill (Rami Malek), Oppenheimer dialoga persino con l'anziano Albert Einstein (Tom Conti), che gli "controlla" i calcoli eseguiti dai suoi ricercatori, e con l'italiano Enrico Fermi. C'è anche Edward Teller (Benny Safdie), già proiettato verso la bomba H, e il rivale Lewis Strauss del Security Board (l'ottimo Robert Downey Jr), convinto d'esser stato screditato da Oppenheimer con Einstein.
Uomini. Un manipolo di star del cinema per una riottosa enclave di geni capricciosi, primedonne, gelosi, a volte rivali fra loro, qualcuno addirittura traditore per davvero: l'inglese Fuchs verrà fuori che era comunista e ha "passato i compiti" ai sovietici. Di tutto, ma neanche un vero supereroe quando servirebbe.
Per questo l'incolpevole Oppenheimer viene interrogato dalla Commissione di Sicurezza del Congresso USA per temute attività antiamericane: il film è quindi il fluviale racconto in flashback - che alterna colore e b/n - del protagonista alla Commissione. Racconto e dialoghi fitti, e veloci, spesso frenetici, allusivi, che mettono a dura prova anche lo spettatore attento; e in cui tuttavia il geniale Nolan - non un "regista medio" - riesce a "farci vedere" gli atomi, le vorticose traiettorie degli elettroni, gli insondabili quanti, nelle astratte immagini che accompagnano le lezioni in università dell'Oppenheimer ancora studente.
Strappando all'austera materia almeno altre due momenti di Grande Cinema: il primo si svolge durante uno degli interrogatori della Commissione al protagonista sui suoi rapporti con una donna di provata fede "rossa": Jean Tatlock (Florence Pugh, qui a sinistra) è stata sua amante in effetti, e il regista ci mostra il loro amplesso fedifrago coi due attori nudi sulla sedia nella stanza dell'audizione, come se si stesse svolgendo in quel momento (sapete, quelle stramberie della quantistica).
All'audizione è presente, compunta, anche Kitty (Emily Blunt, a destra dietro Cillian), moglie di Oppenheimer, che quindi assiste "in diretta" al tradimento del marito, che pure sosterrà fedelmente fino alla fine (mentre l'instabile Jean poco dopo si suicida). Una visualizzazione che ci rende assai più tangibile l'imbarazzo, lo squallore di quel momento, più di mille discorsi.
L'altra scena "madre" è dopo il successo di Los Alamos: alla notizia che il bombardamento su Hiroshima è stato vittorioso, Oppenheimer viene acclamato dall'intera comunità che ha vissuto e lavorato con lui nella segretissima base in mezzo al nulla. Ma il regista toglie l'audio alle ovazioni e fa rombare nelle orecchie del protagonista sul podio il sordo growl dell'esplosione che il suo successo ha reso possibile, come se stesse profeticamente avvolgendo la sua osannante comunità, i cui volti lui vede liquefarsi nell'accecante vampa nucleare, ideale monito sull'incubo di un possibile nuovo conflitto atomico, che da quel momento non lascerà più l'umanità sino al nostro oggi. Purtroppo di nessuna di queste scene ci è concesso uno still da mostrarvi qui.
Non è un film facile da seguire, s'è detto: è faticoso, probabilmente troppo lungo, ma va riconosciuto che Nolan (sotto a destra sul set con Cillian Murphy) ha affrontato coraggiosamente un fatto storico importante per tutti noi ancora nel presente, facendoci riflettere sui conflitti interiori che sin d'allora generò in tutti i suoi protagonisti: la bomba "definitiva" metterà fine alla Seconda Guerra Mondiale, anche se a prezzo di un massacro d'innocenti? O forse incendierà l'atmosfera mettendo fine all'intero pianeta? Rappresenterà addirittura, come pensa il suo ottimista alfiere, "la fine di tutte le guerre" per l'umanità? Oggi sappiamo che purtroppo no: come diceva proprio Einstein, la stupidità umana (l'unica cosa sicuramente "infinita" secondo il grande scienziato) continua a flirtare con l'autodistruzione nel suo disperato balletto di hybris, incurante di ciò che ormai sa.
Ora anche noi sappiamo che drammatico travaglio portò quell'enclave di geni e di meschini a darci questa nuova possibilità, estinguendo (purtroppo) non l'ultima delle follie belliche della nostra specie sanguinaria.
Servivano proprio tutte quelle tre ore e 18 km di pellicola 70 mm per mostrarcelo, in una vicenda (tratta dal pure fluviale libro Robert Oppenheimer, il padre della bomba atomica. Il trionfo e la tragedia di uno scienziato del giornalista Kai Bird con lo storico Martin J. Sherwin, Pulitzer in America, ed. Garzanti da noi) quasi interamente giocata su dialoghi in interni? Il dubbio è lecito, ma Nolan è uno di quei titani larger than life e ha accettato una sfida titanica.
Affrontatelo col coraggio che merita, magari mangiando leggero prima: darà da riflettere a tutti noi.
Mario G
P.S.: le prime 2 foto in alto sono by MarioG, scattate all'anteprima con smartphone Huawei P30, il PP di Florence Pugh è stato reperito in rete, tutti gli altri still sono forniti dall'ufficio stampa Universal Pictures Italia.